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Problemi di traduzione: nota teorica 1

Tradurre è tradire dice un vecchio proverbio, ed ha ragione. Nella traduzione l’errore è proprio la traduzione. Molti traduttori lo dimenticano, ma non esiste un modo giusto di fare il loro lavoro. Esistono solo modi più sbagliati e il modo più sbagliato di tutti è da sempre quello di tradurre letteralmente. Non esistono due lingue che abbiano una perfetta corrispondenza lessicale; non esistono neanche due sinonimi all’interno di una lingua che abbiano esattamente lo stesso significato; ergo è impossibile trovare per ogni parola un traducente adatto. Anzi, in realtà può essere una pratica estremamente dannosa e creare delle mostruosità.

La lettera uccide, lo Spirito dà vita, diceva San Paolo ed era uno che la sapeva abbastanza lunga a sentire la gente. Allora perché ci hanno insegnato a venerare la lettera fin da quando abbiamo iniziato ad occuparci di lingue diverse dalla nostra? Si tratta di una necessità didattica, o meglio, di una comodità didattica. Un professore deve avere la certezza che l’alunno abbia capito la grammatica e non il senso; il che è ridicolo, perché un comune parlante sa usare perfettamente la sua lingua senza la necessità di comprenderne la struttura profonda. La struttura profonda è stata inscritta in lui quando l’ha appresa e tanto basta. Il professore però sarebbe più pronto a premiare con un bel voto il suo alunno che non sa mettere in fila due parole di greco senza un dizionario, che un signor Platone con un perfetto accento di inizio IV secolo a.C. Ne consegue che con questo metodo l’alunno tende a imparare la nuova lingua sbagliata e a convertire la vecchia in una lingua mediana tra la prima e la seconda. Infatti-stil, versionese, gerundio a manetta, usi errati del participio fino all’orribile e incomprensibile accusativo alla greca di sparsa le trecce morbide del Manzoni sono una paralingua inutile e dannosa, che poco ha a che fare con l’italiano. Eppure l’insegnante è questo che vuole. Mozza le gambe alla traduzione libera, non perché è sbagliata, ma perché è, appunto, libera. Ovvero perché è scritta in italiano e non nella lingua d’origine.

Un buon traduttore deve tenersi ben lontano da questi errori maldestri e pedanti. La sua traduzione sarà di certo un tradimento, ma piuttosto che cercare una donna dalle fattezze simili all’originale, ne preferirà una che le somiglia nel contenuto. Il suo scopo è trasmettere il senso, non la forma.

Ovviamente la poesia costituisce un caso particolare. Anche qui, come ovunque, bisognerà fare delle scelte. Dato che nella poesia il suono è parte integrante del significato, emerge l’opzione della traduzione poetica. Se ben fatta, questa non è una modalità peggiore di quella in prosa; bisognerà però tener presente alcuni fattori essenziali. In primo luogo riprodurre il ritmo originale sarà quasi certamente impossibile; anche nel caso lo si facesse, quel ritmo, rapportato alla fonetica della lingua in cui si traduce, avrebbe un significato diverso. Anche in questo caso la traduzione meno peggio è quella libera, tentando di rapportare il verso da tradurre ad un metro che la stessa funzione nella lingua di destinazione. Per questo, la scelta di Monti e Pindemonte nella traduzione di Omero è stata particolarmente oculata. Certo, il testo tradotto non sarà mai uguale all’originale; eppure, anche se un’opera nuova, se il traduttore è umile e veramente al servizio del testo, non esiste cosa più utile di una buona traduzione.

 

 

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Samuele Baracani: nato nel 1991, biellese, ma non abbastanza, pendolare cronico, cresciuto nelle peggiori scuole che mi hanno avviato alla letteratura e, di lì, allo scrivere, che è uno dei miei modi preferiti per perdere tempo e farlo perdere a chi mi legge. Mi diletto nella prosa e nella poesia sull'esempio degli autori che più amo, da Tasso a David Foster Wallace. Su ispirazione chauceriana ho raccolto un paio di raccontini di bassa lega in un libro che ho intitolato Novelle Pendolari e, non contento, ho deciso di ripetere lo scempio con Fuga dai Faggi Silenziosi.

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