La premessa essenziale di questa breve testimonianza è che io non sono un traduttore, vale a dire che non lo faccio di mestiere. Non che esista un titolo particolare per definirsi tale, ma essendo il mio amico Samuele laureato in Lettere Classiche e laureando in Linguistica, ci tengo a far presente che il mio è soltanto un piccolissimo contributo alla sua rubrica Problemi di Traduzione.
Il problema in cui mi sono imbattuto è un problema di contesto, cioè un problema legato al tempo e al luogo nei quali una certa espressione è stata usata. Traducendo Magia: Una Commedia Fantastica ho trovato un sacco di espressioni e modi di dire di un luogo e un tempo che non mi appartengono, quelli dell’Inghilterra di inizio ‘900. Il più delle volte è bastato unire la mia conoscenza dell’inglese all’intuito; poche altre volte ho dovuto fare qualche ricerca sul dizionario. Ma d’un tratto mi sono trovato dinnanzi un’espressione mai vista che mi ha dato del filo da torcere per giorni e giorni: “to play the cat and banjo“. La frase dice testualmente “the mixture plays the cat and banjo“. Questa volta non è servito il dizionario, né una banale ricerca su Google; soprattutto tutt’attorno non c’erano riferimenti utili, non c’era cioè né prima né dopo qualcosa che potesse portarmi alla soluzione. Ricordo ad esempio quando da ragazzino lessi un libro in inglese e, ancora piuttosto acerbo nel tradurre, non capivo il significato della parola “narrow“. Invece di correre a prendere un dizionario, provai ad andare avanti e d’un tratto ecco tornare quella parola in una frase che suonava all’incirca così: “The window was so narrow I couldn’t see anything“, che significa “la finestra era così narrow che non riuscivo a vedere nulla”; capii così che “narrow” vuol dire “stretto, angusto”. Ma per quanto riguarda “to play the cat and banjo“, non c’era verso di desumerne il senso allo stesso modo.
Si trattava di qualcosa che non solo era in uso nell’Inghilterra di un secolo fa, ma era in uso tra poche persone dell’Inghilterra di un secolo fa. Capita anche nei dialetti italiani: modi di dire e motti usati in Piemonte, sono totalmente sconosciuti a un siciliano o a un veneto e viceversa. Cosicché un traduttore del 2118 che dovesse imbattersi in un testo italiano con una frase del tipo “fari u sceccu nto linzolu“, cioè “fare l’asino nel lenzuolo” (che vuol dire “fare il finto tonto”) non potrebbe far riferimento alla pura e semplice tradizione italiana, alla quale è pressoché ignota, ma dovrebbe rivolgersi in particolare a quella messinese. Così “to play the cat and banjo” è un modo di dire molto simile a “to play cat and mouse“, cioè “giocare al gatto col topo”, rintracciabile in un particolare contesto, quello militare, laddove il gatto è la sferza che veniva usata per punire i disertori, che venivano dunque suonati come un banjo. R.Kipling usa quest’espressione più volte e pare essere per lui qualcosa di quotidiano o comunque abitudinario (la usa in particolare in una lettera a James Conland del 1896), e pare essere un modo colloquiale per dire “danneggiare, rovinare, sconvolgere, disturbare”. Infatti Kipling nella lettera dice “this damp climate has played the cat and banjo with all my teeth“, vale a dire “questo clima umido mi ha danneggiato tutti i denti”, cioè probabilmente gli ha fatto venire il mal di denti o chissà che. Chesterton nella commedia mette in bocca al Prestigiatore queste parole: “the mixture plays the cat and banjo with my body and soul“, mentre riporta alla mente la difficile situazione famigliare della sua infanzia, il cui ricordo gli stringe il cuore.
A questo punto ci sono due opzioni: o si traduce letteralmente (quando il senso è intuibile) o si rende il senso a discapito della letterarietà, trovando una frase che il lettore possa riconoscere subito. In questo caso penso sia meglio optare per la seconda opzione, cercando un’espressione che renda innanzitutto il senso dell’originale. Si può ad esempio tradurre con “mi lacera l’anima” o “mi strazia il cuore” o, ancora meglio, usare un’espressione più colorita come “mi calpesta l’anima” o “gioca a calcio col mio cuore”.
In definitiva, la lingua è strettamente legata al contesto culturale, alla tradizione; sbaglia chi pretende di incasellare la traduzione in schemi fissi, traducendo letteralmente qualunque cosa. Per quello ci sono le versioni al liceo, il tradurre è ben altra cosa.
Edoardo Dantonia: classe 1992, sono il più giovane e il più indegno di questo terzetto di spostati che si fa chiamare Schegge Riunite. Raccontavo storie ancor prima di saper scrivere, quando cioè imbastivo veri e propri spettacoli con i miei pupazzi, o quando disegnavo strisce simili a fumetti su innumerevoli fogli di carta. Amante della letteratura, in particolare quella fantastica e fantascientifica, il mio sogno è anche la mia più grande paura: fare della scrittura, cioè la mia passione, il mio mestiere.