Certo, la morte è affascinante e tutti abbiamo la più o meno segreta perversione di conoscerne i dettagli. Ma anche non morire può essere altrettanto incredibile. Ecco quindi una storia dedicata a uno degli ossi più duri mai esistiti.
Hugh Glass (1783-1833) fu un esploratore statunitense vissuto a cavallo tra il XVIII ed il XIX secolo. La sua vicenda ha ispirato il film che è valso a Leonardo Di Caprio il tanto agognato Oscar: The Revenant (Il Redivivo). Ma quanto c’è di vero in questa assurda pellicola? Be’, non tutto ma buona parte.
Di origine scozzese e irlandese, Hugh divenne giovanissimo un esploratore nelle zone tra i fiumi Missouri e Platte (quindi tra Montana, North e South Dakota e Nebraska). Venne catturato da niente popò di meno che i pirati di Lafitte e riuscì a fuggire, ma solo per cadere prigioniero anche dei nativi Pawnee. Qui entrò a far parte della tribù e sposò una donna dei loro. È il 1821 e Glass decide di trasferirsi a Saint Louis. L’anno seguente fu assoldato per guidare una spedizione nei territori di cui era così esperto; ma durante uno scambio di cavalli con gli Arikara, tribù aggressiva e imprevedibile, scoppiò un tafferuglio e morirono in molti. Nella spedizione punitiva che avrebbe dovuto annientare la tribù, molti altri perirono e Glass fu ferito seriamente, ma infine si raggiunse una tregua.
L’agosto del 1823 segna il vero giro di boa della sua vita. Durante una battuta di caccia, un orso grizzly lo aggredì. Chiunque sarebbe morto, ma Glass sopravvisse, anche se agonizzante e ricoperto di ferite mortali. I compagni uccisero l’orso e tentarono di fornire una prima assistenza al moribondo. Il capitano lo diede quasi subito per spacciato, per cui offrì a due uomini, Fitzegarl e Bridger, di assisterlo fino alla morte in cambio di 40 dollari di ricompensa, mentre il gruppo avrebbe proseguito. Ma i due non avevano intenzione di aspettare tanto a lungo, forse per l’estrema ostilità di quei luoghi, e così lo abbandonarono agonizzante e s’intascarono comunque i soldi. Ma Hugh Glass non era pronto per l’inferno, o l’inferno non era pronto per Hugh Glass.

L’uomo si trascinò in un tronco dove per giorni si nutrì di vermi, serpenti e carcasse di animali, mentre le ferite guarivano grazie all’azione delle larve che ne rimossero il tessuto necrotico. Alcuni indiani Lakota lo trovarono e lo soccorsero, fornendogli pelli, cibo e armi, e donandogli una barca con cui risalire le acque del Cheyenne. Ora una sola cosa occupava la mente di Glass: vendetta. La sua meta era infatti Fort Henry, la base operativa in cui avrebbe quasi sicuramente trovato i suoi compagni, quelli che l’avevano lasciato a morire come un cane. Lungo il cammino subì un altro attacco dagli Arikara, ma se la cavò anche grazie all’aiuto di due indiani Mandan. Era il terzo attacco a cui sopravviveva, praticamente come vincere alla lotteria per tre volte di seguito.
Quando giunse all’accampamento, scoprì che era stato trasferito più a sud; per giunta, una volta arrivato al secondo sito, vi trovò soltanto Bridger, che decise di risparmiare per via della giovane età. A vanificare completamente i suoi propositi, la scoperta che Fitzgerald si era arruolato nell’esercito e, in qualità di soldato, era divenuto praticamente intoccabile. Glass dovette quindi rinunciare a vendicarsi e si accontentò di 300 dollari a compensazione dell’attrezzatura sottrattagli dai compagni (un risvolto un po’ diverso e, per certi versi, più amaro rispetto a quello rappresentato nel film del 2016, dove Glass trova e uccide Fitzgerald).
Degli anni successivi si sa poco. Sopravvisse ad un quarto attacco indiano, riprendendosi solo dopo mesi. Infine fu ucciso dagli Arikara, o almeno così si pensa. I suoi effetti personali erano infatti in possesso di questa tribù, ma del suo corpo non venne mai trovata traccia.
Edoardo Dantonia: classe 1992, sono il più giovane e il più indegno di questo terzetto di spostati che si fa chiamare Schegge Riunite. Raccontavo storie ancor prima di saper scrivere, quando cioè imbastivo veri e propri spettacoli con i miei pupazzi, o quando disegnavo strisce simili a fumetti su innumerevoli fogli di carta. Amante della letteratura, in particolare quella fantastica e fantascientifica, il mio sogno è anche la mia più grande paura: fare della scrittura, cioè la mia passione, il mio mestiere.