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Un corpo liquido – Altered Carbon

Ultimamente stanno aumentando i mondi distopici nelle narrazioni, soprattutto cinematografiche, e si stanno focalizzando in particolare su due correnti di pensiero in forte crescita, postumanesimo e transumanesimo (per scoprire cosa sono si può dare un’occhiata al blog di Giulia Bovassi o, ancora meglio, comprare il suo libro). L’ultima delle storie che impattano con queste idee è la serie Netflix Altered Carbon.
Sono già passati molti anni da quando Il mondo dei replicanti ci presentava una realtà in cui la tecnologia aveva permesso agli uomini di superare i loro limiti, potenziandosi e divenendo sostanzialmente invulnerabili. Altered Carbon va ancora oltre e immagina un futuro in cui, digitalizzando l’anima, gli uomini (o almeno i ricchi) abbiano raggiunto l’immortalità. Come? Trasferendo la propria identità e memoria, contenuta in una pila, in un nuovo corpo, parola mai nominata nella serie a cui si preferisce “custodia”. La carne è diventata un mero involucro per lo spirito che può trasmigrare tranquillamente contenuto in un dischetto di metallo. Certo, la cosa non è senza conseguenze: occorre tempo per abituarsi al nuovo corpo e i ricchi, essendo ormai immortali, iniziano a credersi degli dei, pur essendo ricolmi dei loro difetti umani. Viene anche presentato il dilemma morale di cosa è l’uomo per darsi una vita senza fine e fuggire la morte, il tutto per bocca di una vecchia superstiziosa.
Ora però le domande riguardo alla cosa finiscono qui. I mille interrogativi che sorgono spontanei di fronte ad una distopia di questo genere non solo non ricevono risposta, ma non sono neanche considerati. Cosa sia la coscienza o l’anima o l’identità, non si sa. Come è stato possibile trasferirla in un aggeggino di metallo? Magia. Magia della tecnologia forse, ma ciò che non riceve una spiegazione razionale non è né scienza, né fantascienza. Si potrà davvero vivere in eterno? Nessuno lo sa dire. Nessuno si stanca di questa vita infinita? Pare di no.
Gli unici problemi che la cosa sembra creare sono nei ricchi, corrotti dalla loro sete di potere e annoiati dalla loro vita monotona. Come siamo diventati ricchi e come mantengano tale ricchezza non si sa, semplicemente sono stati colti da un delirio di onnipotenza e credono di dominare tutto. La loro vita si è ridotta ai loro vizi, mentre la pila era stata inventata per permettere alle persone di esplorare, scoprire nuove cose, nuovi mondi e questo è, in fondo, il loro peccato.
Lo scenario in cui si muovono però è inquietante. La tecnologia permette loro di uccidere senza uccidere, di essere violenti senza conseguenze, anzi, ripagando il tutto con generosità. Permette di essere malvagi senza che questo non solo li metta in difficoltà di fronte alla legge, ma anche di fronte a loro stessi. Una tale tecnomagia ha mandato la loro moralità in totale cortocircuito, perché tutti hanno posto in essa il fondamento del loro essere. Rifiutando la morte si sono resi schiavi della vita. Rifiutando il limite ultimo che è la morte, rifiutando i limiti inferiori come la vecchiaia e l’infermità, essi hanno ridotto la loro vita ad un puro soddisfacimento della loro volontà di potenza. La loro socialità è malata perché tale rifiuto li ha resi perfettamente indipendenti e dunque soli. Una vita lunga e indesiderabile ed un corpo che diventa carcere dell’anima, senza via di scampo, nel mondo più nichilista che possa esistere, quello degli uomini immortali. Almeno Platone poteva immaginare un luogo in cui l’anima fosse restituita a sé stessa, ma qui non c’è nessun luogo in cui andare e quei corpi liquidi e intercambiabili diventano delle catene ancor più strettamente serrate, fino al punto che neppure il mondo materiale diventa più un orizzonte. Nella serie si accenna a viaggi interplanetari, ma nessuno dei personaggi esce dalla sua tetra routine. Le auto volano, ma la cosa non sembra suscitare nessun interesse, perché volano sempre e solo su una città terra e schifosa. Togliere il limite che ci frena rende tutto insipido. L’uomo non è stato fatto per godere della banalità del possibile; quello che può raggiungere allungando una mano non gli basterà mai; la vita eterna a cui tendiamo non può essere raggiunta con un banale espediente tecnologico, per quanto fantascientifico. A noi non basta vivere a lungo, non bastano i piaceri umani e neanche l’assenza di sofferenza; in tutto questo c’è sempre qualcosa che manca. Come quella di Ulisse e San Brandano, la nostra navigazione punta all’irraggiungibile e tutto il resto è un putrescente accontentarsi.
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Samuele Baracani: nato nel 1991, biellese, ma non abbastanza, pendolare cronico, cresciuto nelle peggiori scuole che mi hanno avviato alla letteratura e, di lì, allo scrivere, che è uno dei miei modi preferiti per perdere tempo e farlo perdere a chi mi legge. Mi diletto nella prosa e nella poesia sull'esempio degli autori che più amo, da Tasso a David Foster Wallace. Su ispirazione chauceriana ho raccolto un paio di raccontini di bassa lega in un libro che ho intitolato Novelle Pendolari e, non contento, ho deciso di ripetere lo scempio con Fuga dai Faggi Silenziosi.

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