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Sangue mio

In Sicilia si usa chiamarsi “Sangue mio” fra innamorati, con quel mieloso romanticismo mediterraneo che tanto spesso fa storcere il naso a noi nordici. Eppure, fin dalla prima volta che l’ho sentito dire, mi è piaciuto da morire, perché l’immagine che evoca è carnale, solida, quasi selvaggia ed allo stesso tempo alta e possente. Sui muri che trascorro camminando per le mie città abbondano infiniti “6 la mia vita” e qualche “vita mia”, che sono scialbi e astratti, nonché poco impegnativi; la parola vita è vaga ed imprecisa, assolutamente indefinita e quindi tristemente apoetica, se non addirittura impoetica. Certo, è dignitosa e in qualche modo più severa ed austera dello slancio siciliano, ma proprio per questa non vale nulla per quanto possa essere apprezzata e il suo suono possa cantare melodioso alle orecchie. Il sangue è crudo e terribile, ma mette subito in mostra una delle caratteristiche fondamentali dell’amore: amare è ferirsi, amare è morire, amare, anche senza sfiorarsi di lontano, è sangue.

 

Ecco il segno; s’innerva

sul muro che s’indora:

un frastaglio di palma

bruciato dai barbagli dell’aurora.

 

Il passo che proviene

dalla serra sì lieve,

non è felpato dalla neve, è ancora

tua vita, sangue tuo nelle mie vene.

Eugenio Montale, Mottetti

 

Non starò qui a dilungarmi sulle sdilinquaggini che i poeti hanno inventato (ma leggetele! Leggetele piuttosto che ascoltare Barbara D’Urso che commenta l’ultimo delitto passionale!), solo di molto le preferisco al realismo nudo e freddo di chi tratta l’amore come un investimento finanziario, chi non si affeziona veramente, chi non si lascia sciogliere dal suo feroce abbraccio.

Lo so, è pericoloso, ma esiste un’avventura in cui non ci sia pericolo grande? Esiste un’avventura in cui non ci sia un ideale a cui dedicarsi? E quanto meglio è un ideale che è carne e sangue?

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Samuele Baracani: nato nel 1991, biellese, ma non abbastanza, pendolare cronico, cresciuto nelle peggiori scuole che mi hanno avviato alla letteratura e, di lì, allo scrivere, che è uno dei miei modi preferiti per perdere tempo e farlo perdere a chi mi legge. Mi diletto nella prosa e nella poesia sull'esempio degli autori che più amo, da Tasso a David Foster Wallace. Su ispirazione chauceriana ho raccolto un paio di raccontini di bassa lega in un libro che ho intitolato Novelle Pendolari e, non contento, ho deciso di ripetere lo scempio con Fuga dai Faggi Silenziosi.

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