Mani di ferro

In molti conoscono la storia di Gatsu, protagonista di Berserk, fumetto ad alto tasso di sangue e creature mostruose. In pochi conoscono anche la probabile ispirazione storica di Kentaro Miura, il cavaliere cinquecentesco Götz von Berlichingen, detto “dalla mano di ferro”.

Classe 1480, il piccolo Gottfried vede la luce nel castello di Jagsthausen, nella Contea di Württemberg, nel Sud-Ovest della Germania. Decisamente poco interessato allo studio, dimostra subito una certa inclinazione per le cavalcate ed il combattimento e, ancora fanciullo, viene mandato per alcuni anni come scudiero al servizio di Konrad von Berlichingen, uno zio con importanti agganci in tutta la Germania del tempo. L’improvvisa morte dell’illustre parente lo lancia nel pantheon dei cavalieri tedeschi: subentra infatti al suo posto al servizio di Federico I, margravio di Brandeburgo-Ansbacb. Negli anni successivi si mette poi sotto il comando di Massimiliano I, Imperatore del Sacro Romano Impero, battagliando in Borgogna, Lorena e nel Brabante. Si distingue infine nella guerra sveva, prima di costituire una compagnia di mercenari tutta sua, con la quale potersi mettere al soldo di duchi, margravi e baroni.
Ma siamo nel 1500 e Götz si trova in una sorta di limbo: nato nel pieno dell’uso delle faide (dall’alto tedesco antico fehida) come strumento ufficiale per risolvere le controversie, cresce però in un momento storico che le vede pian piano scomparire, in favore di una gestione meno “personale” (con, ad esempio, una tribunale imperiale “super partes”, il Reichskammergericht).

Ritratto di Götz in un’incisione di Emil Eugen Sachse, apparsa nel 1854 in Ritratti e Biografie di Duecento Uomini Tedeschi, di Ludwig Bechstein.


Götz è un giovane cavaliere ardente e ambizioso, e non ha nessuna intenzione di rinunciare alla sua principale fonte di guadagno. Inevitabilmente, questo amore per le faide finirà per procurargli più grattacapi che altro; tanto da valergli diversi esili e prigionie, da cui potrà tirarsi fuori solo sganciando una gran quantità di fiorini (spesso rischiando di finire sul lastrico).
Dotato di una personalità fuori dal comune, è passato alla storia non solo per la sua eterna lotta contro l’Impero, ma anche e soprattutto per una caratteristica fisica non indifferente: aveva una mano di ferro, letteralmente. Avviene tutto durante un conflitto tra due rami della casata dei Wittelsbach, ovviamente per questioni di successione. Götz vorrebbe schierarsi insieme a due dei suoi fratelli, ma si trova incastrato nell’altra fazione poiché è ancora alle dipendenze di uno zio legato ad essa, tale Neidhart von Thüngen. Ad ogni modo, la parte che ha scelto è quella maggiormente dotata di uomini e mezzi, per non parlare del legame con Massimiliano d’Asburgo in persona; l’avanzata è perciò rapida e si arriva presto all’assedio finale della città di Landshut, nel 1505. C’è bisogno in questi giorni di volontari per attaccare un distaccamento nemico, e Götz è chiaramente in prima linea. Ma proprio durante l’azione, l’artiglieria di Norimberga comincia a bersagliarli, senza fare distinzione tra amici e nemici. Una palla di colubrina (un piccolo pezzo di artigliera terrestre, dalla canna lunga e sottile), gli colpisce l’elsa della spada, mandandola in frantumi insieme alla sua mano: guardando in basso, il cavaliere può solo constare che essa penzola ormai soltanto da un lembo di pelle. Il Berlichingen viene portato nella città di Landshut con un salvacondotto, dove non si può far altro che amputargli del tutto la mano e fornirgli le migliori cure possibili.


Götz è a dir poco sconsolato, e chiede più volte a Dio di farlo morire. Ma il valoroso cavaliere non tarda a riprendersi, ragionando sul fatto che dopotutto può ancora dire la sua di guerriero; anche con una mano sola. Dopo poche settimane, può già indossare una protesi di tutto rispetto. Secondo le fonti, ne indossò due, molto diverse tra loro. La più antica è una protesi dal funzionamento semplice, i cui segni di usura indicano un costante utilizzo, sicuramente anche in battaglia. L’altra, più recente e pressoché intatta, dev’essere stata usata solo nelle occasioni ufficiali, magari con indosso un guanto, e indica un’abilità artigiana piuttosto all’avanguardia per l’epoca. Si pensi che le dita potevano chiudersi falange per falange (a differenza di quelle della prima, che costituivano un blocco unico) con un sistema di ingranaggi e molle, e venire rilasciate spingendo due pulsanti sul dorso della mano (uno per il pollice e uno per tutte le altre dita).

Incisione su rame della mano di di ferro di Götz, apparsa nel 1861 in Storia del Cavaliere Götz von Berlichingen, di F.A.Brockhaus.


Potrà sembrarci un oggetto di poco conto, abituati come siamo ai progressi della tecnica odierna. Ma dobbiamo contestualizzare l’epoca e, soprattutto, considerare il fatto che ancora oggi la mano del Berlichingen ha qualcosa da dire agli specialisti. Giusto lo scorso anno l’università di Offenburg ha riprodotto con una stampante 3D questa mano di ferro, constatandone l’estrema funzionalità e la potenziale ispirazione per i sostituti prostetici odierni. Non mancano poi le ispirazioni letterarie, come quella del personaggio di Gatsu nel manga Berserk firmato dal recentemente scomparso Kentaro Miura, temibile mercenario che, dopo aver perso la mano, la sostituisce con una avanzatissima protesi meccanica che può all’occorrenza diventare un cannone.


Per quanto riguarda Götz, dopo l’ennesima prigionia e l’ennesimo giuramento di non impegnarsi mai più nelle faide, combatté ancora in Ungheria contro gli Ottomani di Solimano il Magnifico, e in Francia durante l’invasione da parte dell’Impero. Si ritirò infine nelle sue terre, dove visse pacificamente fino alla sua morte, sopraggiunta nel 1562. Molte delle sue imprese ci sono giunte grazie alla sua autobiografia, resa celebre dal dramma di Goethe dal titolo Götz di Berlichingen dalla Mano di Ferro del 1773, che ad essa si ispira quasi totalmente.


Infine, proprio quest’anno è uscito un libro prezioso firmato da Gabriele Campagnano per Zhistorica, una biografia del cavaliere tedesco piena di informazioni, mappe ed incisioni dell’epoca, e arricchita dagli stupendi disegni di Francesco Saverio Ferrara. Questa è, probabilmente, l’opera più ampia e puntuale sul Berlichingen.

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Edoardo Dantonia: classe 1992, sono il più giovane e il più indegno di questo terzetto di spostati che si fa chiamare Schegge Riunite. Raccontavo storie ancor prima di saper scrivere, quando cioè imbastivo veri e propri spettacoli con i miei pupazzi, o quando disegnavo strisce simili a fumetti su innumerevoli fogli di carta. Amante della letteratura, in particolare quella fantastica e fantascientifica, il mio sogno è anche la mia più grande paura: fare della scrittura, cioè la mia passione, il mio mestiere.

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