Pietro micca

Eroe risorgimentale per eccellenza, esempio di fedeltà patria, icona celebrata con strade, statue e targhe in ogni dove (ma più che altro in Piemonte, sua terra natia): ecco l’artigliere piemontese che ha fatto la storia.

Pietro nasce nel 1677 col nome di Pierre Micha e viene battezzato come Joes Petrus. Di origine modesta, Pietro è originario di un paesino della bassa Valle Cervo, Sagliano (ora Sagliano Micca), in Piemonte. Sposa Maria Cattarina Bonino e da lei ha un figlio, Giacomo Antonio. Fa il muratore, provvede alla famiglia e conduce una vita del tutto ordinaria. Fino a quando scoppia la Guerra di Successione Spagnola.

È appena morto Carlo II d’Asburgo, re di Spagna, e la questione della sua successione comincia presto a logorare le diplomazie. I tentativi di spartire i territori tra i vari candidati al trono falliscono e per un momento sembra che ad accaparrarsi il trono debba essere il re di Francia Luigi XIV, designato dal morente Carlo in persona. In questo modo un solo monarca avrebbe sotto di sé due imperi enormi, e la cosa non fa che preoccupare ancora di più le altre potenze. Così Sacro Romano Impero, Austria, Inghilterra e le Sette Province Unite (gli attuali Paesi Bassi) si uniscono nel designare l’arciduca Carlo d’Asburgo, figlio dell’imperatore Leopoldo I, come successore legittimo. Nel 1702 scoppia dunque la guerra.

Pietro si arruola nella compagnia minatori dell’esercito sabaudo, ingaggiati per ampliare la rete di cunicoli sottostanti la Cittadella, importante fortezza pentagonale situata lungo l’antica cinta muraria della città di Torino. La notte tra il 29 ed il 30 agosto 1706, dei granatieri francesi penetrano nella galleria capitale alta, probabilmente con l’intento di raggiungere la capitale bassa e minare il Bastione del Soccorso.

Pianta della città di Torino nel 1858, con la Cittadella ancora visibile sull’angolo Sud-Ovest della cinta muraria.

Pietro è in quel momento a guardia dell’accesso alla galleria inferiore, accompagnato da un commilitone. Udendo i colpi d’arma da fuoco, i due decidono di far saltare la scala e bloccare i nemici. Il problema è che hanno poco tempo, e usare una miccia lunga può significare vanificare gli sforzi, qualora i Francesi li raggiungano prima della deflagrazione. Così optano per una miccia corta, che il compagno di Pietro non riesce però ad accendere (vuoi per l’agitazione, vuoi per l’umidità). Il Micca allora prende in mano la situazione e dice al compare: “Togliti di lì, tu sei più lungo di un giorno senza pane! Lascia fare a me, salvati!”, e lo manda via. Accesa infine la miccia, Pietro tenta comunque di mettersi in salvo, ma l’esplosione lo coglie in pieno e lo proietta a diversi metri di distanza, condannandolo a morte.

Sono in molti ad aver contestato la storicità dell’evento, mettendo ad esempio in dubbio l’identità dell’autore dell’esplosione, insinuando che possa essersi trattato di un errore nell’appiccare la miccia piuttosto che d’un sacrificio volontario, oppure sottolineando le successive ed esagerate idealizzazioni del gesto. Ma di fatto restano le cronache del tempo, come quella di Francesco Antonio Tarizzo, che in Ragguaglio storico dell’Assedio, Difesa e Liberazione della città di Torino scrive anche di “uno d’Andorno per nome Pietro Mica” e del “volontario sacrificio della sua vita”. C’è poi l’autorevole fonte del generale Margarita, che difese in prima persona Torino durante l’assedio, di cui narrò poi in Journal Historique du Siege de la Ville et de la Citadelle de Turin l’annèe 1706, citando con veemenza il sacrificio del Micca. Infine, nel recente 1958, è avvenuta la scoperta della scala fatta saltare, grazie alle ricerche del capitano Guido Amoretti, appassionato di archeologia.

Statua di Pietro Micca realizzata da Giuseppe Cassano (1825-1905) e collocata in via Cernaia, a Torino, di fronte al Mastio della Cittadella.

Quale che sia la realtà storica, bisogna ammettere che le leggende spesso sono molto più vere del vero. Esse dicono molto di più di quanto qualunque moderna storiografia; perché per conoscere un popolo bisogna capire ciò in cui crede e si riconosce, non ciò che può capitare per caso nel lungo e caotico flusso della storia.

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Edoardo Dantonia: classe 1992, sono il più giovane e il più indegno di questo terzetto di spostati che si fa chiamare Schegge Riunite. Raccontavo storie ancor prima di saper scrivere, quando cioè imbastivo veri e propri spettacoli con i miei pupazzi, o quando disegnavo strisce simili a fumetti su innumerevoli fogli di carta. Amante della letteratura, in particolare quella fantastica e fantascientifica, il mio sogno è anche la mia più grande paura: fare della scrittura, cioè la mia passione, il mio mestiere.

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