Liquidare un libro mal scritto con due parole di biasimo o di elogio falso è facile come bere un bicchier d’acqua e mandar così giù i rimorsi della coscienza, se ancora se ne possiede una. Diversi recensori, a dire il vero, la tengono pulitissima e ben stirata sotto una teca di vetro, senza usarla mai e campano scrivendo con maggior inventiva degli autori che recensiscono senza aver mai letto e di certo questa è una prassi consolidata nella critica letteraria. Tutto questo lungo preambolo per scusarmi se la mia recensione non sarà brillante, ed anzi correrà il rischio di essere noiosa, come ogni cosa scritta da un appassionato. Se volete evitarvi lo strazio, potete correre a comprare Il cavaliere delle nuvole, godendovi qualcosa di sicuramente scritto meglio. Da parte mia, cercherò di essere sincero, se questo vale ancora qualcosa.
Per una qualche ragione le storie di aviatori non vanno per la maggiore, anche se sono spesso appassionanti. Forse le ferite delle guerre mondiali sono ancora troppo fresche e profonde per poterne parlare liberamente, e stiamo ancora cercando di dimenticarcene. Perché allora non guardare la parte avventurosa di tutto questo escludendone tutte le componenti che l’hanno inquinata in un racconto di fantasia? Se siete pronti a vivere le avventure della caccia sui biplani, allora il romanzo di Luca Ferrara è quello che fa per voi.
Dopo un inizio non troppo frizzante, cosa dovuta principalmente al dover tracciare l’ambientazione di Vitolia, la penisola fittizia in cui la nostra storia è ambientata, vi troverete improvvisamente catapultati nel volo e, prima che abbiate fatto a tempo a mettervi a vostro agio nell’abitacolo dei velivoli da addestramento della Milizia dell’Aquila solitaria, vi ritroverete a dover manovrare sotto al fuoco della mitraglia, tra schegge di legno e brandelli di stoffa a ricordarvi di quanto è precaria la vita del pilota.
Vitolia vive un periodo molto simile a quello dell’Italia rinascimentale, divisa in molti piccoli principati che passano il tempo a guardarsi in cagnesco e farsi la guerra fra di loro, assoldando delle compagnie di ventura che, invece di archibugi e alabarde, sono dotate di potenti mezzi aerei e divisioni di moderna fanteria a terra. La storia segue le vicende di una di queste, che si trova a dover contrastare i temibili pirati dell’aria, gentaglia che passa il tempo assaltando le aeronavi delle varie signorie.
La scrittura, un po’ legnosa all’inizio, vola via rapida ed appassionante soprattutto quando si parla di volo. Lo stile rimane stringato come quello dei diari di guerra, e riporta bene la stessa ingenua semplicità che possiedono molti di questi. Il tono non si appesantisce e non perde tempo a dover convincere il lettore a sentirsi in un modo piuttosto che in un altro; semplicemente lo trascina dentro ai fatti. La trama non è complessa, ma non ha alcuna pretesa di esserlo, ed in ogni caso non mancano i rimandi interni che la mantengono coerente e organica.
L’unica cosa che si rimpiange, finito questo libro, è la sua brevità; l’autore però lascia intravedere alla fine la possibilità di un seguito, cosa che attendiamo desiderosi.
Samuele Baracani: nato nel 1991, biellese, ma non abbastanza, pendolare cronico, cresciuto nelle peggiori scuole che mi hanno avviato alla letteratura e, di lì, allo scrivere, che è uno dei miei modi preferiti per perdere tempo e farlo perdere a chi mi legge. Mi diletto nella prosa e nella poesia sull'esempio degli autori che più amo, da Tasso a David Foster Wallace. Su ispirazione chauceriana ho raccolto un paio di raccontini di bassa lega in un libro che ho intitolato Novelle Pendolari e, non contento, ho deciso di ripetere lo scempio con Fuga dai Faggi Silenziosi.