“Che sarai tu per me, e che sarò io per te? Ora la ferita è fresca, le ferite di entrambi sono ancora aperte, pulsanti. Ma pian piano si chiuderanno, ognuna a suo modo, ognuna col suo tempo. E un giorno saranno cicatrici, forse un po’ sensibili, ma parte di noi come un orecchio o un dito. Non faranno più male.
Già la tua immagine sbiadisce, deformata dal ricordo, alterata dal tempo e dalla mia mente, mentre la tua voce come una eco lontana si perde, rimbomba sempre più distante, divenendo indistinguibile.
Cosa rimarrà? Pulviscolo che scende piano e si posa sui mobili, sulle fotografie ingiallite. E un giorno morirò, e morirai anche tu. E chi saremo l’un per l’altra? Lontani conoscenti. Ora non potrei vivere nello stesso mondo in cui tu non ci sei; ma un giorno sì, eccome. Se un giorno lontano dovessero dirmi che tu non ci sei più, proverei dispiacere, una fitta, la cicatrice pungerebbe; ma non soffrirei come potrei soffrire ora, nemmeno lontanamente. E questo lo odio, scalpito al solo pensiero che in un futuro più o meno lontano tu non occuperai più quella parte così essenziale della mia vita.
Chi sarai per me? Un amore lontano? Un ricordo sbiadito? Cosa rimarrà di noi?”