Il referendum sul divorzio è stato un momento cruciale nella cultura cattolica italiana. Non perché si sia permesso ad una legge più o meno ingiusta di persistere, ma perché, al grido di “bisogna lasciar liberi” si è rinunciato a dar voce alla propria opinione. Le conseguenze sociali di questo gesto sono state ben superiori a quelle delle famiglie spezzate con più o meno criterio.
“Lasciar liberi” può suonare come un’apertura al dialogo, e invece è stato il suo esatto contrario. Il dialogo prevede che le due o più parti, con opinioni più o meno diverse, ascoltino ciascuna la posizione dell’altra e portino ciascuna le proprie argomentazioni. Questo crea uno spazio comune di incontro e di scontro, fino a che non si arriva ad un compromesso che forse non è la soluzione ideale, ma è quella migliore possibile. Se una però delle parti non dà voce alla propria opinione, l’altra divora tutto lo spazio del dibattito.
Poco male, si dirà, noi cattolici siamo abituati a stare nelle catacombe e nei monasteri. Sia pure, ma sarebbe stato immensamente sciocco rimanere nelle catacombe quando era il momento di costruire le cattedrali. Rinunciare ad uno spazio pubblico quando non si è oppressi più che un gesto nobile e umile è un gesto imbecille. Soprattutto, però, è un gesto egoista.
Possiamo perdonare al monaco e all’eremita il suo allontanarsi dal mondo, perché volto ad una perfezione che altrimenti sarebbe stata impossibile da raggiungere. D’altra parte non era forse usanza per alcuni ordini di passare ad una vita di predicazione dopo quella di contemplazione? E non è forse arrivato un San Francesco dopo un San Benedetto? Qui però lo scopo era un altro. Non era l’egoismo di chi vuole raggiungere la vetta più alta della Carità senza distrazioni, ma quello di chi non vuole noie ed è stanco di combattere.
C’è poco da discutere: da quel momento il mondo cattolico si è progressivamente rinchiuso in tante piccole realtà impenetrabili, spesso anche in conflitto tra loro, e assolutamente incapaci di avere a che fare col mondo. Del mondo, non nel mondo. Del mondo perché il tentativo di chiudersi a qualsiasi tentazione dimostra la mancanza di armi spirituali per contrastarle e pure la mancanza di volontà di percorrere la lunga e faticosa via del costruirsele; non nel mondo perché isolate e incapaci di comunicare con esso.
Chiuso nel suo inframondo il cattolico può essere virtuoso (o meglio sentirsi tale) perché assolutamente riparato da ogni pericolo. Conoscerà solo persone per bene, così che mammà sia contenta e papà non si preoccupi; non si perderà in occupazioni di poco conto e farà una vita ordinata, lontano da alcol, droga, sesso e quant’altro. Se sarà necessario, in questo inframondo saranno riprodotte le rose tentatrici dell’esterno, ma prive delle spine. Dei suoi bisogni politici si occuperà un personaggio pubblico che più che altro strillerà che l’inframondo è il modo giusto di vivere e bisognerebbe proibire tutto il resto. Il cattolico avrà insomma una vita tranquilla ed epicurea. Ma è questo che ci è stato promesso?
Cristo non ci ha promesso la pace, ma la spada. Non la mediocrità ma il centuplo quaggiù insieme a persecuzioni. Rinunciare al proprio posto pubblico e lamentarsi non è essere oppressi. Nascondersi in un angolo senza mai incidere e strillare che non lo si può fare perché il mondo non ci capisce non è essere perseguitati; è fare la vittima. Son tutti concetti che dovrebbero esserci chiari, ma non lo sono, perché il nostro pensiero non riesce a spaziare oltre le mura dentro cui ci siamo rinchiusi. Abbiamo paura ad avere un amico non praticante, figuriamoci non cristiano; ed abbiamo paura perché temiamo di perdere il segreto giardino di mediocri delizie che ci siamo costruiti. Ancora di più, però, temiamo la prova; temiamo lo scoprirci peccatori e il perdere quell’aura di virtù che tanto ci piaceva nel nostro narcisistico rimirarci allo specchio.
Samuele Baracani: nato nel 1991, biellese, ma non abbastanza, pendolare cronico, cresciuto nelle peggiori scuole che mi hanno avviato alla letteratura e, di lì, allo scrivere, che è uno dei miei modi preferiti per perdere tempo e farlo perdere a chi mi legge. Mi diletto nella prosa e nella poesia sull'esempio degli autori che più amo, da Tasso a David Foster Wallace. Su ispirazione chauceriana ho raccolto un paio di raccontini di bassa lega in un libro che ho intitolato Novelle Pendolari e, non contento, ho deciso di ripetere lo scempio con Fuga dai Faggi Silenziosi.