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Agiografia, portami via

Tizio e Caio gareggiavano in santità; Sempronio faceva della verginità la sua forza; il tale era incorruttibile; il talaltro affrontò il martirio con gioia; un altro ancora si dedicò alla carità e alla preghiera e via discorrendo. Sono molti i temi ricorrenti che si trovano nelle storie di santi, la maggior parte dei quali me le rendono terribilmente insopportabili, soprattutto per la loro totale incapacità di comunicarmi qualcosa che possa essermi utile e in secondo perché mi risultano per lo più poco credibili. Posso credere ai miracoli, ma non che un uomo dedichi la sua vita alla carità e alla preghiera, non tanto perché sia impossibile farlo, ma perché queste cose sono mezzo per altro. Posso credere che un uomo o una donna decidano di dedicare la loro vita interamente a Dio e che questo li renda migliori e li compia; ma mi è assolutamente impossibile che la dedizione alla preghiera compia qualcuno di per sé e lo stesso dicasi per tutto quello che l’agiografia ci propone come caratteristiche del santo.

Il fatto è che continuamente l’agiografia si perde nell’elenco delle qualità dell’uomo, senza mai raccontarci l’uomo, che in realtà è, a mio parere, l’unica cosa interessante. Sapere che qualcuno si dedica ai poveri è vagamente interessante; sapere cosa ha messo in piedi, forse lo è un poco di più, ma in ogni caso non basta a farmi conoscere una persona, il suo modo di pensare e di scegliere e soprattutto il suo cuore. Potrei fare qualsiasi cosa un santo faccia (a parte gareggiare in santità perché non so cosa vuol dire) ed essere il peggiore degli uomini, un demone incarnato, celato sotto spoglie umane, perché la mia profonda intenzione, il mio animo e il mio intelletto possono essere corrotti fino al midollo, nonostante le mie azioni.

Questo, tuttavia, è un modo comune di raccontare; è il titolo della notizia che tutti leggono, l’articolo lungo quanto il mio mignolo che nessuno si stanca a leggere. Provate a leggere i giornali quando parlano di personaggi famosi e non troverete altro che agiografia, perché è un modo comodo e non impegnativo di non raccontare, ma dare l’impressione di farlo. Comunica le idee di chi scrive a riguardo senza bisogno di dimostrare e senza necessità che il lettore si impegni a capire, il che è molto bello e poco istruttivo.

Se non si entra a fondo nella persona, se non ci si immedesima, non si soffre un poco la sua fatica, non si gode un poco la sua gioia, la conoscenza dell’esistenza e delle idee non vale nulla. Le idee, infatti, ci convincono solo perché siamo già convinti; i principi che ci colpiscono sono quelli che già abbiamo adottato; l’unica cosa che ci pare abbiano in più i santi è un’eroica coerenza, l’unica virtù che in realtà ad ogni uomo è preclusa, se è vero che il giusto pecca sette volte al giorno

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Samuele Baracani: nato nel 1991, biellese, ma non abbastanza, pendolare cronico, cresciuto nelle peggiori scuole che mi hanno avviato alla letteratura e, di lì, allo scrivere, che è uno dei miei modi preferiti per perdere tempo e farlo perdere a chi mi legge. Mi diletto nella prosa e nella poesia sull'esempio degli autori che più amo, da Tasso a David Foster Wallace. Su ispirazione chauceriana ho raccolto un paio di raccontini di bassa lega in un libro che ho intitolato Novelle Pendolari e, non contento, ho deciso di ripetere lo scempio con Fuga dai Faggi Silenziosi.

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