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Una morale banale è necessaria

Credo sia capitato a tutti; mostrate un film che vi piace molto a degli amici e questi ve lo bollano come banale e poco significativo. Il vostro cuore si infrange e cercate di capire se siete voi sbagliati, se lo è il film, se esiste qualcosa di valido e buono in esso o se vi siete fatti ammaliare da qualche lustrino; per ultima cosa vi può passare per la testa che siano gli altri a sbagliarsi, ma l’accusa di banalità e superficialità è così potente e terribile che è davvero difficile dimostrare il contrario. Se però appartenete a quella minima percentuale di orgogliosi testardi che si fidano un po’ troppo del proprio giudizio come il sottoscritto allora, dopo aver esaminato con cura la vostra vita e pianto tutto i vostri più terribili errori passati, inizierete a domandarvi che cosa i vostri amici cercavano veramente nel film e che cosa vi avete visto voi.  E così vi renderete presto conto che la non-banalità è non di rado molto più banale della banalità stessa, perché la maggior parte delle cose profonde che vogliamo sentirci dire la conosciamo già. Di fondo non è raro che nelle storie cerchiamo che si adeguino a degli standard più che ci facciano riflettere e per lo più preferiamo racconti che contengano il già noto, rispetto a quelli che ci potrebbero cambiare. Per questo è molto più comodo che ci sia fornita una morale non banale: è molto più semplice che concordiamo pacificamente sulla fratellanza universale dell’umanità che sul fatto che il sangue è rosso e la neve bianca. Non ci credete? Vi basterà una rapida ricerca per trovare infinite dimostrazioni del fatto che la percezione del colore è soggettiva e relativa al contesto ed allo stesso tempo gente che include i colori in una precisissima gamma di lunghezze d’onda; tuttavia se provate a parlare di uno dei temi profondi, vi sarà molto più facile trovare un’uniformità di fondo, nonostante le acquisizioni della mente siano non di rado molto più soggettive delle percezioni dei sensi.

Ciò che la mente elabora è assai meno banale di ciò che i sensi ricevono, perché è stato necessario del lavoro e non una passività, e questo credo sia un dato acquisito. Eppure trovo tutti questi garbugli mentali molto più noiosi delle vecchie buone morali banali, le quali in fondo non sono poi così stupide. Per carità, non mancano d’esistere storie sciocche e confuse, ma son esse e non il loro messaggio ad esserlo. Certo, esistono morali e o mythos deloi oti cattivi o poco chiari anche a chi ha scritto, ma non ne ho mai trovate di sciocche; ce ne sono di sbagliate e di malvage, di appiccicate come etichette casuali alla fine di una storia con cui non hanno nulla a che fare, di ricavate da storie talmente irragionevoli che si può dubitare non solo della loro verità, ma anche della loro onestà (e non di rado in queste rientrano quelle non banali), ma quanto alla superficialità, ne ho trovate assai poche che potessero essere definite tali. La maggior parte delle volte che una storia non ci soddisfa, non è perché dica cose ovvie, ma perché non si è veramente impegnata nel dirle, perché la sua capacità narrativa è sciocca e il suo modo di procedere scomposto. Dire che il cielo è azzurro è una banalità tale che ci siamo dimenticati della sua verità e occorre viaggiare attraverso il centro della terra per ricordarselo.

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Samuele Baracani: nato nel 1991, biellese, ma non abbastanza, pendolare cronico, cresciuto nelle peggiori scuole che mi hanno avviato alla letteratura e, di lì, allo scrivere, che è uno dei miei modi preferiti per perdere tempo e farlo perdere a chi mi legge. Mi diletto nella prosa e nella poesia sull'esempio degli autori che più amo, da Tasso a David Foster Wallace. Su ispirazione chauceriana ho raccolto un paio di raccontini di bassa lega in un libro che ho intitolato Novelle Pendolari e, non contento, ho deciso di ripetere lo scempio con Fuga dai Faggi Silenziosi.

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