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“Ho visto uomini chinarsi verso terra, non ho mai visto uomini volare”

L’amico Samuele Macchi risponde al mio pezzo su arte, cinema e pubblico (che potete trovare qui), e io lo pubblico volentieri.

L’arte in quanto forma espressiva della personalità del singolo è totalmente libera, autocratica e anarchica. Ma in quanto opera (intesa come prodotto di un lavoro prolungato nel tempo) non sfugge alle regole del mercato, cioè alla volontà del committente/compratore.
Michelangelo non chiese l’opinione del calzolaio per affrescare la Sistina e, tuttavia, papà Giulio II, lo sponsor, gli impose di coprire i genitali di tutti i suoi personaggi. E censurati li osserviamo ancora oggi.
In questo senso l’arte è tanto competenza dell’artista quanto dell’artigiano. Un’artigiano privo di gusto è appena un tecnico, ma di contro un’artista senza tecnica è soltanto un filosofo. L’artigiano realizza le opere che gli sono commissionate rispondendo a delle necessità, generalmente materiali. Il suo lavoro viene pagato perché il committente non ha le competenze per soddisfare da solo al proprio al bisogno. Se è dotato di buon gusto e sufficienti capacità creative anche l’artigiano potrà produrre delle opere d’arte, pur restando nei vincoli che gli sono imposti.
L’artista, invece, risponde a necessità diverse, meno calcolabili. La dinamica tuttavia è la stessa: realizza qualcosa che il pubblico, da solo, non potrebbe produrre. E, di pari passo, l’artista si deve far comprendere. Non solo perché altrimenti non viene pagato e non può continuare a fare arte, ma anche perché (ben più importante) altrimenti parlerebbe solo a se stesso. O, al più, alla ristretta cerchia di chi ha gli strumenti per capirlo. Il suo lavoro è proprio quello di rendere tangibile ciò che è astratto. In questo senso l’arte è davvero democratica: un vero capolavoro si rende disponibile a chiunque, dall’operaio al professore universitario. Non è tuttavia una democrazia bilaterale. Il pubblico non è sullo stesso piano dell’attore e il palco stesso sancisce questa differenza. L’artista ha la responsabilità di parlare, gli spettatori quella di ascoltare.
Su una cosa sono d’accordo con te, Edo: è l’artista che può (deve?) educare il pubblico e non viceversa. Tuttavia, proprio perché ne ha le capacità, proprio perché è il suo mestiere, l’artista dovrà trasmettere il suo messaggio attraverso i mezzi che ha a disposizione, cioè quelli che sono comprensibili al pubblico. È l’artista che si abbassa verso il pubblico e, così, lo eleva. Non è altrimenti possibile perché il pubblico non si può da solo elevare all’altezza dell’artista. Ho visto uomini chinarsi verso terra, non ho mai visto uomini volare. BatmanVsSuperman mancava di tecnica, JusticeLeague (mi baso sul tuo giudizio perché non l’ho visto) manca di deontologia professionale o, se preferisci, di morale.”

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Edoardo Dantonia: classe 1992, sono il più giovane e il più indegno di questo terzetto di spostati che si fa chiamare Schegge Riunite. Raccontavo storie ancor prima di saper scrivere, quando cioè imbastivo veri e propri spettacoli con i miei pupazzi, o quando disegnavo strisce simili a fumetti su innumerevoli fogli di carta. Amante della letteratura, in particolare quella fantastica e fantascientifica, il mio sogno è anche la mia più grande paura: fare della scrittura, cioè la mia passione, il mio mestiere.

Schegge Riunite