La notizia non ha più di qualche settimana: il cavallo di Troia sarebbe una nave. Un banale malinteso l’avrebbe portata a essere fraintesa per un equino e ciò avrebbe poi generato tutti gli infiniti fraintendimenti seguenti che hanno portato, alla fine, al mito come lo vediamo noi. Alla faccenda, come a tutte le ricerche scandalistiche e dissacratorie, è stata data una notevole rilevanza mediatica, che è probabilmente la cosa che meno meritava. Non tanto perché potremmo facilmente trovare dozzine di ragioni per cui l’ipotesi traballa notevolmente, quanto piuttosto perché si tratta di una ricerca totalmente irrilevante e, oserei dire, immotivata.
Lo sforzo di Schliemann per riscoprire Troia e Micene fu una cosa davvero ammirevole; partendo da una fiducia quasi cieca nel mito e in Omero, il nostro archeologo mise a tacere orde di scettici mostrando i suoi ritrovamenti scavando e scavando senza posa. Schliemann fu sufficientemente matto da fidarsi fino in fondo di una poesia lunga dalla dubbia paternità e datazione che raccontava storie di divinità che saltavano su e giù dall’Olimpo per andare a pestarsi con gli uomini. Il problema dell’archeologo moderno è che parte dalla posizione opposta. Innanzi tutto non crede in Omero; per lui i poemi omerici sono frutto di una tradizione originata non si sa bene da chi e ad un certo punto messa per iscritto da certa gentaglia pagata da un tipaccio chiamato Pisistrato. In secondo luogo non crede né all’Iliade, né all’Odissea; ha archiviato da tempo tutte quelle superstizioni inutili che si legano al concetto ormai superato del divino ed è d’altra parte certo che la guerra di Troia non si sia potuta originare se non per un movente economico. D’altra parte è cosa risaputa che i sovrani Micenei all’epoca fossero alquanto preoccupati per le ultime quotazioni in borsa del grano e per la mancata adesione di Ilio al TPP che avrebbero danneggiato la loro economia di mercato. In terzo luogo, è ben convinto che tale guerra non sia durata dieci anni, né che abbia coinvolto un così grande numero di uomini, né che alcun’altra delle vicende narrate nei poemi omerici e nei frammenti dei poemi genealogici abbiano una minima aderenza alla realtà. Certo, alcune generazioni di scettici prima di lui hanno dovuto ammettere a denti stretti, di fronte alla fede cieca e ottusa di un dannatissimo tedesco, l’esistenza di Troia e il suo splendore, ma ormai i tempi sono cambiati. La sua conoscenza scientifica è nettamente superiore a quella dei suoi predecessori e non potrà cadere in fallo. La ragione per cui, non credendo a nulla, debba credere che sia mai esistito, fuori che nella fantasia dell’autore, qualcosa come la nave o il cavallo di Troia, resta un mistero. La ragione per cui, non credendo a nulla, debba trovare una spiegazione razionale a questo nulla è per il mio intelletto limitato molto più incomprensibile della transustanziazione o della natura della Trinità.
La verità è che qua si stanno facendo questioni di cammelli e di aghi. Conosciamo tutti il detto evangelico: “è più facile che un cammello passi per la cruna di un ago che un ricco entri nel Regno dei Cieli”. Una ventina di secoli di tradizione cristiana hanno ritenuto Gesù Cristo un tale burlone da usare una reductio ad absurdum per rendere un concetto. Una cosa davvero disdicevole per chi si diceva essere Figlio di Colui che dà la Gioia Eterna e la Santa Allegrezza, pensarono i commentatori moderni; decisero quindi di trarne una questione più razionale. Si parlò di porte strette chiamate Cruna e poi di corde spesse chiamate kamelos pur di trovare una spiegazione. Sulla scelta di una di queste ipotesi non mi voglio esprimere; mi limito a far notare che se si parla di gomene che passano attraverso le porte, il Paradiso deve essere un posto ben affollato. A me piacciono molto di più il cammello e la cruna dell’ago e se provate a capire le differenze di dimensioni e forma fra le due cose, capirete benissimo perché. Il fatto che cammelli con e negli aghi non c’entrino per nulla è proprio quello che rende sensato il motto, per quanto i ricchi cerchino una soluzione a loro più favorevole. L’assurdità della cosa è quella che la rende sensata. E forse, con un po’ di audacia, si potrà notare che siccome era più facile che gli Achei entrassero in una nave piuttosto che in un cavallo, era più facile che i Troiani lì li cercassero, ponendo fine al mirabile piano di un non così astuto Ulisse.
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Samuele Baracani: nato nel 1991, biellese, ma non abbastanza, pendolare cronico, cresciuto nelle peggiori scuole che mi hanno avviato alla letteratura e, di lì, allo scrivere, che è uno dei miei modi preferiti per perdere tempo e farlo perdere a chi mi legge. Mi diletto nella prosa e nella poesia sull'esempio degli autori che più amo, da Tasso a David Foster Wallace. Su ispirazione chauceriana ho raccolto un paio di raccontini di bassa lega in un libro che ho intitolato Novelle Pendolari e, non contento, ho deciso di ripetere lo scempio con Fuga dai Faggi Silenziosi.