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Re e religioni

Gli storici moderni si sono abituati ad una visione laica e occidentale della storia, che vede nel profitto, nel controllo politico e nelle strategie di potere le uniche ragioni delle azioni dei potenti. Ho sempre avuto dubbi a riguardo di questa visione, perché considera coloro che governano come delle pure macchine di calcolo, ben lontane dall’essere uomini di carne ed ossa, dotati di un loro cervello, di relazioni, di amori ed odi dipendenti anche dalla semplice simpatia o da un qualche avvenimento apparentemente di minimo conto per le sorti del mondo; in particolare mi infastidisce l’atteggiamento che vede nella religione un semplice strumento di controllo e potere. Tuttavia fino a poco fa non avevo compreso per quale ragione provassi fastidio a sentire queste teorie.

Gli ultimi eventi, oltre che i miei studi, mi hanno portato ad interessarmi dell’Islam e della situazione mediorientale, e per una volta l’attualità è stata maestra della storia. Esiste un movimento religioso nell’Islam che si chiama Wahhabismo, cui si è legata, tra gli altri, l’Arabia Saudita, che tenta di diffonderne i precetti e le credenze il più possibile. Uno storico moderno, così come fanno anche molti giornalisti, opinionisti e quant’altro,  non potrebbe non vedere delle ragioni politiche, riducendo tale missionarietà ad un espandere l’influenza politica da parte di uno degli stati più potenti del Medio Oriente. Eppure non c’è solo questo: i Saud credono fermamente nel wahhabismo; per loro vederlo come una semplice arma politica sarebbe una sorta di profanazione. Non dico che valga il viceversa, ma sono profondamente convinto che le due cose vadano a braccetto; religione e potere vanno a braccetto, come se fossero un’unica cosa, perché l’uomo è uno e non basa le sue azioni sul calcolo soltanto, ma soprattutto sulle sue convinzioni profonde. Quello che conta per un uomo, anche se a capo di uno stato, è l’uomo stesso; la religione è una sua risorsa e una parte di lui, così come lo sono la sua capacità politica e strategia. Un Teodosio può scegliere il Cristianesimo come religione del suo stato perché ne è profondamente convinto (non tutti sono Erdogan), così come Maometto può fondare un impero sulla base del suo credo, solo perché ne è convinto. Costantino forse avrà accolto il Credo Niceno solo perché era uscito dal Concilio come predominante e non perché ne era profondamente convinto; allo stesso modo però esistono un’infinità di cristiani praticanti e convinti che non si fanno problemi a recitare un Credo millenario, senza analizzarne le sottigliezze teologiche. In somma un imperatore e un re non saranno mai dei fini teologi, dato che le loro occupazioni sono diverse ed è importante che si occupino dello stato invece che scervellarsi su questioni meno immediate: devono prima occuparsi di quello che è il loro mestiere; eppure nulla vieta che siano persone profondamente convinte del loro credo, senza necessariamente essere fanatici.

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Samuele Baracani: nato nel 1991, biellese, ma non abbastanza, pendolare cronico, cresciuto nelle peggiori scuole che mi hanno avviato alla letteratura e, di lì, allo scrivere, che è uno dei miei modi preferiti per perdere tempo e farlo perdere a chi mi legge. Mi diletto nella prosa e nella poesia sull'esempio degli autori che più amo, da Tasso a David Foster Wallace. Su ispirazione chauceriana ho raccolto un paio di raccontini di bassa lega in un libro che ho intitolato Novelle Pendolari e, non contento, ho deciso di ripetere lo scempio con Fuga dai Faggi Silenziosi.

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