È sempre più frequente sentire accuse di populismo rivolte per lo più dai liberali ai loro avversari, di qualsiasi tipo essi siano. Tuttavia mi è sempre stato difficile capire cosa si intendesse con questa parola. Quando ho chiesto spiegazioni, la risposta che mi è stata proposta era più che altro una descrizione specifica di una certa realtà di quelle che venivano chiamate con questo nome. Quando allora ho chiesto che cosa avessero in comune, mi è stato risposto che facevano leva sui sentimenti bruti delle masse per fare voti. Mi chiedo che mai abbiano fatto tutti i partiti di tutte le democrazie che abbiano mai popolato questa Terra. Non so se è noto ai critici dei populismi che il fondamento della democrazia moderna è stato posto da gente che sfruttò il desiderio di pane del popolo parigino per prendersi la testa di un re. Forse i tentativi dei Gracchi saranno etichettati sotto lo stesso nome? Forse Pericle non si avvalse dei sentimenti del popolo per portare avanti le sue idee e le sue riforme? E ancora, forse che gli stessi accusatori di oggi non fanno lo stesso? Non sono stati loro a correggere le loro posizioni sui migranti sulla base del sentimento popolare in seguito allo scandalo delle ONG? A promettere meno tasse, 80 euro al mese e via discorrendo?
Si potrà dire che almeno i vecchi partiti hanno un programma politico chiaro ed equilibrato. Ora se l’equilibrio consiste nel fare una riforma e poi ritirarla o nel bilanciarla con una che la annulla, non esiste nulla di più vero, ma questo in realtà è solo l’incresparsi della superficie di un mare putrido. Quanto alla chiarezza, credo non esista nulla di più chiaro dei programmi dei populismi. Si presentano come dei rivoluzionari e non esiste nulla di più netto e limpido della mente di uno che vuole cambiare le cose. Da Masaniello a Marat non so di nessun rivoluzionario dalle idee confuse; quelli che le hanno avute, non hanno iniziato le loro rivolte.
L’ultima accusa dei vecchi partiti sarà allora quella di essere totalmente slegati dalla realtà, il che dimostra un notevole cortocircuito mentale. Mentre questi proclamano un nuovo ’68 o s’ingegnano a produrre diritti civili nuovi di zecca, i populismi sono quelli che si preoccupano del fatto che la gente non abbia lavoro, che la ricchezza sia mal distribuita, che l’immigrazione clandestina sia un problema, o per lo meno una sfida, e non solo qualcosa a cui destinare fondi. Sembrerebbe quasi che le accezioni di realtà siano diverse, ed è ovviamente così. I vecchi partiti sono popolati dai membri di un’elite che non ha la minima idea di cosa pensi e di cosa abbia bisogno la gente comune o per lo meno ne ha una molto confusa e moralista, per non dire paternalista.
Con ciò non si vuol dire che quelli che sono detti populismi sono migliori degli altri, ma semplicemente che non sono populisti o che, se lo sono, non lo sono né più né meno degli altri. D’altra parte se la politica è attualmente un contrasto di strida accusatorie, non è colpa delle nuove forze emerse, anche se per scoprirne l’origine occorre risalire più governi che anni.
Samuele Baracani: nato nel 1991, biellese, ma non abbastanza, pendolare cronico, cresciuto nelle peggiori scuole che mi hanno avviato alla letteratura e, di lì, allo scrivere, che è uno dei miei modi preferiti per perdere tempo e farlo perdere a chi mi legge. Mi diletto nella prosa e nella poesia sull'esempio degli autori che più amo, da Tasso a David Foster Wallace. Su ispirazione chauceriana ho raccolto un paio di raccontini di bassa lega in un libro che ho intitolato Novelle Pendolari e, non contento, ho deciso di ripetere lo scempio con Fuga dai Faggi Silenziosi.