Ho una pessima abitudine: non leggo quasi mai le introduzioni, prefazioni, postfazioni dei libri che compro. Ovviamente non so cosa mi perdo, più o meno come chiunque si perda qualcosa; i libri però mi piacciono nudi, non rivestiti dell’interpretazione altrui, quasi ne dovessi avere un’esperienza d’impatto. Forse è anche un moto d’orgoglio: a che tanti anni di studi se non so leggere un libro da me?
A dirla tutta, spesso mi infastidiscono anche le note pervasive in particolare nei testi di poesia. Ho imparato da ragazzino a leggermi Salgari lasciandomi guidare dal contesto e dall’enciclopedia di casa per comprendere non solo parole ma anche oggetti esotici o del passato. Non che me ne sia fatto sempre un’idea corretta, ma almeno sono rimasto sempre davvero calato nel libro che leggevo, senza perdermene nulla per afferrare un nulla più minuto e meno interessante.
Ultimamente però, devo ammetterlo, ho violato questa regola. Le Memorie dal Sottosuolo mi parevano troppo dense ed ostiche per non averne almeno una linea guida e che sorpresa è stato scoprire che questa guida non mi portava da nessuna parte! Anzi, a dirla tutta mi portava esattamente nella direzione opposta rispetto a quella di Dostojevskij. Dalle introduzioni ci si aspetterebbe che creassero un sistema di riferimenti che permetta di comprendere maggiormente le opere cui si riferiscono, magari evidenziandone un aspetto particolare; invece pare siano usate per proporne un’interpretazione personale, senza affannarsi troppo a giustificarla. Mi correggo: se si trattasse di proporre, non si escluderebbero altre possibilità; per fare ciò basterebbero poche righe. Per deviare completamente il senso critico del lettore e farlo deragliare su una strada vaga e soggettiva invece non si può fare a meno di essere noiosi e pomposi. Davvero non sapevo cosa mi perdevo!
Ora, siccome non sono solito leggere le introduzioni, sono stato costretto ad esercitare il mio senso critico; siccome ho letto meno e letto meglio, ad esempio, so che Dostojevskij non era un tipo conciliante e di sicuro non uno che si accontentava di soluzioni da poco. So che il principe Myshkin non parla a suo nome; che i suoi assunti, a partire da “la bellezza salverà il mondo” sono belli, ma non credibili, perché non ha senso seguire gli ideali di un uomo che finisce pazzo, dopo aver perso ogni scommessa che ha fatto. Avendo letto con attenzione altro oltre alle introduzioni, conosco un pochino il mio autore, per il semplice fatto di averci dialogato direttamente; e conosco anche alcuni dei suoi modelli, e alcuni che lo hanno seguito ed imitato. E, incredibilmente, avendo letto le prime due frasi delle Memorie dal Sottosuolo so che il protagonista non è un personaggio positivo e che la cosa non solo viene detta esplicitamente, ma viene esplicitamente ribadita più volte in ogni pagina di questo libricino. Vale di più l’introduzione che lo presenta come una vittima della solitudine e della cattiveria altrui o le sue stesse parole: “Sono un uomo malato. Sono un uomo maligno”?
Sarò in errore, ma il non sequitur mi spaventa più dell’ignoranza. E se il mestiere del critico si sta riducendo a lavoro di fantasia per scoprire interpretazioni che l’autore non avrebbe mai fatto, allora beata l’ignoranza di critici e introduzioni.
Samuele Baracani: nato nel 1991, biellese, ma non abbastanza, pendolare cronico, cresciuto nelle peggiori scuole che mi hanno avviato alla letteratura e, di lì, allo scrivere, che è uno dei miei modi preferiti per perdere tempo e farlo perdere a chi mi legge. Mi diletto nella prosa e nella poesia sull'esempio degli autori che più amo, da Tasso a David Foster Wallace. Su ispirazione chauceriana ho raccolto un paio di raccontini di bassa lega in un libro che ho intitolato Novelle Pendolari e, non contento, ho deciso di ripetere lo scempio con Fuga dai Faggi Silenziosi.