Come a tutti, anche a me è stato insegnato il dubbio metodologico con tutti i suoi pregi ben elencati in morbide file di parole. Mi è stato insegnato ad essere diffidente, a stare attento alle fonti, a diffidare anche delle fonti affidabili finché non sia stato verificato quanto dicevano e tutto questo mi è stato ampiamente lodato, tanto che anche io ho iniziato a farne uso. Però poi ho smesso; è stata dura, ma è stato necessario, perché non inseguivo più la verità, ma la sola soddisfazione del mio bisogno di sentirmi intelligente e superiore. Il dubbio, invece che avvicinarmi alla verità, finiva con l’allontanarmene e così ho dovuto farmi due conticini e ho iniziato a guardarmi intorno. È cosa arcinota che i difetti degli altri ci siano immediatamente più chiari dei nostri e così ho guardato a chi come me si comportava da scettico facendo inutili precisazioni sulle cose ed ho subito scoperto l’inghippo.
Lo scettico non fa un’ipotesi e poi ne dubita, come farebbe un uomo umile e come il metodo scientifico ci impone. Lo scettico dubita prima; dubita di tutto perché non può farne a meno. Qualunque cosa gli diciate, dal fatto che l’erba è verde all’ultima scoperta di un ricercatore sconosciuto dell’austropapuasia inferiore, lui vi chiederà le vostre fonti, dove avete letto la cosa che avete detto, quali prove avete a suo favore e continuerà a proporvi piccoli ostacoli che in nulla minano la verdezza dell’erba, ma dimostrano inequivocabilmente che è più scura o più chiara di come pensate. L’istruzione obbligatoria e una spinta casuale all’originalità ci hanno insegnato ad essere pistini e precisini ed essere pistini e precisini non significa cercare la verità, ma solo dimostrare di essere in grado di cercarla. Un po’ come se un bodybuilder a cui viene chiesto se può raccogliere una cartaccia, invece di eseguire l’ordine cortese iniziasse a pompare i bicipiti e a gonfiare i dorsali. Il paragone regge particolarmente perché non di rado i bodybuilder faticano a toccarsi le ginocchia, così come non di rado studenti universitari, e a volte anche ricercatori e professori, sono in grado di produrre una vera ricerca, troppo impegnati come sono a dimostrare quanto hanno studiato, letto e che bel metodo hanno. Alla fiera dell’apparenza, la verità non è benvenuta; possono parteciparvi le verità individuali, solo se presentate come proprie scoperte.
Può apparire paradossale, ma l’istruzione ci ha allontanato dal suo oggetto, ovvero la verità, e non perché si tratta di istruzione manovrata, ma perché il suo scetticismo non funziona. Lo si vede molto bene nel caso di quelli che vengono denominati analfabeti funzionali: loro non sono degli ignoranti; sono dei parzialmente colti come, in misura maggiore o minore, siamo tutti. Ma che si tratti di terrapiattisti, ufologi o complottisti vari, quello che li accomuna è esattamente quello che la cultura gli ha insegnato: il dubbio scettico. Il punto dei semicolti non è che credono a qualunque cosa venga loro proposta, ma che non credono alla versione ufficiale e di conseguenza si rifugiano nel credere in sé stessi. Il complottismo si basa sull’idea che quello che so io gli altri non ve lo vogliono far sapere; più ancora che sul culto dell’eresiarca di turno si fonda su quello della persona che è stata così intelligente da non cascare nella versione ufficiale a cui tutte le altre pecore umane credono ciecamente e stupidamente. Il suo dubbio è lo stesso dello scettico metodico, perché arriva a dubitare di tutto tranne della possibilità di essere in errore. Il complottista dubita prima; così, dato che certamente tutto il mondo si inganna o è ingannato, non gli resta altra fonte che sé stesso. Lo studioso dubita prima; così, dato che tutto il mondo si affida a verità trite e ritrite, sentite mille volte, non gli resta altra fonte che la sua originalità, come se la verità potesse essere nuova e progressiva.
Samuele Baracani: nato nel 1991, biellese, ma non abbastanza, pendolare cronico, cresciuto nelle peggiori scuole che mi hanno avviato alla letteratura e, di lì, allo scrivere, che è uno dei miei modi preferiti per perdere tempo e farlo perdere a chi mi legge. Mi diletto nella prosa e nella poesia sull'esempio degli autori che più amo, da Tasso a David Foster Wallace. Su ispirazione chauceriana ho raccolto un paio di raccontini di bassa lega in un libro che ho intitolato Novelle Pendolari e, non contento, ho deciso di ripetere lo scempio con Fuga dai Faggi Silenziosi.