La speranza di pure rivederti
m’abbandonava;
e mi chiesi se questo che mi chiude
ogni senso di te, schermo d’immagini,
ha i segni della morte o dal passato
è in esso, ma distorto e fatto labile,
un tuo barbaglio:
(a Modena, tra i portici,
un servo gallonato trascinava
due sciacalli al guinzaglio).
Eugenio Montale (da “Le Occasioni”).
Non avevo mai capito molto cosa significasse questo mottetto, perché c’è qualcosa di estremamente assurdo nella sua ultima parte. Sembrano mancare i collegamenti e le spiegazioni date da Montale stesso sono poco soddisfacenti. Il tutto fino a che ieri non ho visto accadere una strana consimile assurdità.
Mentre tornavo un po’ abbattuto dalla mia incompetenza quotidiana all’improvviso mi affianca e supera un omaccione con al guinzaglio un minuscolo bassotto. Normale amministrazione per la via principale di una grande città e infatti degnata a malapena di uno sguardo fugace. Poi però l’uomo, dopo aver detto qualche tenera frase al cane che si chiama Pollicino, avvista un piccione. Subito con un fare tra il tenero e il divertito aizza il bassotto contro il volatile. La bestiola si lancia, con le sue zampette corte e inabili; il piccione di per sé è un’animale imbecille nel volo, ma di fronte al bassotto ha un gioco anche troppo facile a dileguarsi mentre quello tenta con scarsi risultati di sollevarsi sulle zampe posteriori per azzannarlo con i suoi ferocissimi denti di carnivoro.
La scena, ridicola, mi ha scosso, mi ha risvegliato per un attimo. Se è nichilista sperare in un continuo imprevisto che ci risvegli dal nostro nulla, alle volte è necessario che un qualcosa interrompa i nostri pensieri e nulla lo fa meglio di qualcosa di assurdo e demenzialmente divertente. Ci si rende conto, all’improvviso, di tutto il mondo attorno e del fatto che questo mondo sia positivo nel suo essere mediocre e quotidiano.
Il 1600 ci ha convinto che riso e coscienza, divertimento e serietà, non potessero stare insieme, tirando una riga nera di censura sull’eutrapelia da Aristotele ad allora. Ci ha dato una nuova concezione dell’uomo, più alta e più elevata e in fondo decisamente più spirituale, dimenticandosi che siamo piccoli e mediocri, evitando con cura di ricordarci che Dio ci ha fatti un po’ pirla. In fondo è una cosa semplice, come la tenerezza che le gambette corte del bassotto ci suscitano; noi siamo limitati e da soli facciamo i nostri corti passettini, come un figlio quando si alza in piedi la prima volta, per la gioia di suo padre. La nostra pirlaggine ci ricorda che siamo piccoli e che l’atteggiarsi a troppo alti e grossi, a troppo nobili negli ideali e nelle possibilità è solo un ingannarsi. La nostra stupidità sacrosanta ci tiene i piedi a terra sempre ed evita che la testa si stacchi dal corpo, cosa che come è noto potrebbe costituire un problema. Le stupidaggini che diciamo continuamente evitano alla nostra testa di montarsi, e ci svuotano dalle arie che ci gonfiano il petto e in fondo ci costringono ad essere più noi stessi che mai. E non posso negare di pensare che esplodano il riso orgoglioso e intenerito di Dio.
Samuele Baracani: nato nel 1991, biellese, ma non abbastanza, pendolare cronico, cresciuto nelle peggiori scuole che mi hanno avviato alla letteratura e, di lì, allo scrivere, che è uno dei miei modi preferiti per perdere tempo e farlo perdere a chi mi legge. Mi diletto nella prosa e nella poesia sull'esempio degli autori che più amo, da Tasso a David Foster Wallace. Su ispirazione chauceriana ho raccolto un paio di raccontini di bassa lega in un libro che ho intitolato Novelle Pendolari e, non contento, ho deciso di ripetere lo scempio con Fuga dai Faggi Silenziosi.