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L’esclusiva inclusività o viceversa

Si può volere tutto il bene che si vuole ai neomarxisti, ma su di una cosa sbagliano terribilmente e qui sta tutto il loro problema. Affermano che l’inclusività portata dal cristianesimo in realtà esclude, divide tra chi accetta il messaggio e chi no e dunque deve essere eliminato.

Far risalire questa modalità di pensiero fino a San Paolo è non solo un segno di enorme ignoranza teologica, ma di una ancor più grande ignoranza storica (male che piaga i marxisti da sempre).

Il Cristianesimo, come qualsiasi altra religione o cultura, divide tra chi la accetta e chi la rifiuta, ma, di per sé, non ha la pretesa di imporre questa divisione. Cristo è venuto a portare la spada, ma ha anche detto a Pietro di riporla; ha parlato di pecore e capri, ma non ha diviso gli uni dagli altri in base all’appartenenza pura e semplice al suo gregge, piuttosto lo ha fatto dalle azioni. L’avviso cristiano di fronte all’immoralità e all’indegnità è di avvertire il reo tre volte, e poi andare per la propria strada, non di imporgli di adeguarsi alla giustizia.

Si dirà: “Ma allora gli eretici e le streghe bruciate? I movimenti pauperistici sterminati?”. Ora qui non si sta discutendo se il Cristianesimo, o meglio la Cristianità, abbia usato la violenza e la forza, ma per cosa l’abbia usata. L’eretico non era punito per la sua idea, ma perché la diffondeva. L’umanissima post-modernità non si fa problemi a minacciare chi diffonde fake news, non si è minimamente sentita in colpa per aver escluso i non vaccinati dal consorzio civile, da quale pulpito immacolato può giudicare il passato? E tuttavia tutto questo l’ha fatto in nome dell’ordine, a volte eccessivo e dittatoriale, come il passato.

Anzi, la modernità si è spinta ben oltre, fino a voler punire l’opinione, non solo il fatto di diffonderla. Quando un nostro interlocutore mostra di non essere d’accordo con noi, spesso ci sentiamo offesi o sotto attacco; le nostre opinioni su qualsiasi argomento sono diventate oggetto di una fede molto più cieca e feroce di quella che possiamo attribuire ai tardoantichi e ai medievali. Noi non solo vogliamo punire l’eretico, vogliamo che non esista; non ci basta che abiuri, deve essere cancellato da ogni dove, fosse anche solo per un tweet o una canzone di dieci anni fa’, e questo non è perché l’inclusione porti all’esclusione del dissidente, ma perché l’inclusione arriva dopo la sua esclusione.

L’uomo ha bisogno di uno spazio sicuro, per questo cerca di limitare i pericoli usando anche forza e violenza. Le cose stanno così da sempre e solo un illuso potrebbe pensare che sia possibile altrimenti; sarebbe però altrettanto illusorio e comodo ignorare che, da un certo momento in poi, l’utilizzo della forza e della violenza si sia accentuato. Si potrebbe stare a discutere sul fatto che l’eccesso di ordine porti disordine e che l’eccesso di sicurezza porti insicurezza e violenza, ma trovo molto più interessante capire dove le cose sono cambiate.

Se i marxisti avessero davvero studiato la storia, e non la storia secondo Marx, conoscerebbero perfettamente il momento in cui la punizione dell’azione è scivolata nella punizione dell’opinione. Saprebbero perché consideriamo disumani coloro che hanno idee diverse dalle nostre, solo per il fatto di averle; saprebbero perché non ci facciamo problemi a considerare perduti quelli che non sostengono una certa opinione, posizione, movimento.

La ferita che piaga l’occidente da ormai 500 anni è sempre la stessa: la Riforma. Il marxista, perso nel suo materialismo storico, non può capire che la teologia parla molto di più all’anima umana che l’economia, anche solo per il fatto che ammette che l’anima esiste; dovrebbe però per lo meno comprendere l’antropologia di un momento storico, e invece riesce a mancarla completamente. Le guerre di religione in europa hanno davvero straziato il tessuto sociale, hanno creato schieramenti contrapposti che pensavano che ogni singolo membro di quello opposto fosse malvagio o per lo meno stupido. Se San Nicola aveva preso a sberle Ario per aver detto quella che lui riteneva una bestemmia, Cromwell era arrivato a far tagliare la testa ad un re per il pericolo che si riconciliasse con i papisti; aveva fatto deportare molti scozzesi perché sostenevano il re; aveva proibito i festeggiamenti di Natale perché il divertimento era un pericolo.

La qualità non solo del giudizio dello Stato (ovvero di chi è giustificato nell’amministrare la violenza), ma anche delle sfere in cui andava ad imporsi era cambiata. La pace di Augusta, per quanto probabilmente fra i pochi compromessi accettabili per porre fine ad una serie di sanguinosi conflitti fraterni, aveva dato in mano al potere politico la coscienza dei cittadini, ovvero nell’unico posto in cui non dovrebbe essere. Che la cosa scivolasse dalle mani del potere politico a quello mediatico era solo questione di tempo, e neanche molto, ma di questo forse parleremo in un altro pezzo.

Il punto qui è che la responsabilità della violenza dell’inclusività ha una ragione molto più profonda di quella che la miopia socialista può arrivare a vedere. Quando Locke, nella sua infame Lettera sulla Tolleranza, sosteneva che si può tollerare qualsiasi religione tranne una che concede la fedeltà del cittadino ad un sovrano straniero, non stava creando una nuova divisione, ma giustificando maldestramente uno status quo. Il cattolico non poteva essere tollerato perché vedeva il papa come autorità spirituale perché lo Stato si era preso il compito di esserlo. L’investitura divina del monarca assoluto era già avvenuta e proprio perché si era negata la possibilità di esistere ad corpo terzo oltre allo Stato e al Cittadino. Quest’ultimo, davvero, non poteva che scegliere se essere con o contro, tertium non datur. L’ateo non poteva essere tollerato non solo perché il suo giuramento era infondato, ma anche perché andava ad erodere l’autorità del sovrano.

D’altra parte l’idea stessa di Stato Laico lo investe di un’autorità religiosa, anche se ben nascosta. Secondo questa concezione, l’uomo che giunge al potere dovrebbe totalmente abbandonare la sua natura e le sue idee per dover ragionare in un modo che il potere dice imparziale. Non gli è permesso di agire e ragionare secondo coscienza, se non nel modo che il potere ha deciso. Questo non è il regno, è la dittatura della Ragione, una cosa inaugurata dal periodo più triste e sanguinario della Rivoluzione Francese. Dire che questa sia inclusività è un inganno; è un potere assoluto che si ammanta delle parole più belle e dolci per imporsi; si tratta non solo di escludere persone e gruppi, ma di escludere persino parti di persone che sono incluse. E non si tiri in campo l’imparzialità per giustificare questo obbrobrio totalitario: l’imparzialità è cercare un terreno comune su cui costruire assieme, non fare tabula rasa di tutto quello che ciascuno potrebbe portare.

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Samuele Baracani: nato nel 1991, biellese, ma non abbastanza, pendolare cronico, cresciuto nelle peggiori scuole che mi hanno avviato alla letteratura e, di lì, allo scrivere, che è uno dei miei modi preferiti per perdere tempo e farlo perdere a chi mi legge. Mi diletto nella prosa e nella poesia sull'esempio degli autori che più amo, da Tasso a David Foster Wallace. Su ispirazione chauceriana ho raccolto un paio di raccontini di bassa lega in un libro che ho intitolato Novelle Pendolari e, non contento, ho deciso di ripetere lo scempio con Fuga dai Faggi Silenziosi.

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