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Follie irrazionali

La strana scelta vittoriana di scegliere l’irragionevole invece dell’irrazionale

Lo strano dualismo vittoriano lo conosciamo tutti: da una parte la fiducia quasi cieca nella scienza e nel progresso tecnologico, fino alla più stolida fede positivista, pure smentita infinite volte, ma mai abbandonata; dall’altra il fascino per il gotico, per i fantasmi, le storie orrorifiche, i vampiri, l’occulto e tutto il resto. A prima vista si potrebbe dire che il vittorianesimo fece il tentativo di racchiudere tutto in uno schema troppo stretto e razionale perché potesse quadrare e si trovò costretto ad ammettere che esisteva altro nell’uomo e nella realtà. Ma di quale altro parliamo?

“L’inferno è vuoto e tutti i demoni sono qui” diceva Shakespeare nella Tempesta, e questo è più o meno il modo in cui un vittoriano viveva (e vive) tutto quello che non rientra nel dominio della ragione. “Il sonno della ragione genera mostri” titolava Goya una sua serie di stampe, perfettamente in linea col pensiero del suo tempo. Nonostante i tentativi di tracciare dei precisi confini da parte dei suoi pensatori più illustri, Kant e Locke fra tutti, l’Illuminismo aveva ormai stabilito la Ragione come polo positivo in grado di illuminare la realtà. Il razionale era diventato il luogo sicuro, l’ordine da opporre al chaos, la verità da opporre all’incertezza, la civiltà da opporre all’inciviltà.

Poco importava che questo mito della ragione fosse totalmente irragionevole e, ancora di più, irreale. Che la Ragione e la sua figlia Scienza siano in grado di generare mostri a loro volta non aveva sfiorato la mente di nessuno? Mary Shelley si permette di dissentire. Con lei poi andrebbero citati i numerosi tentativi utopistici di creare una società perfetta, a volte da parte di socialisti, a volte da parte di imbecilli di altro genere, non in quanto consci del fatto, ma in quanto testimoni inconsapevoli, e fra questi includiamo la Rivoluzione Francese.

Certo, può essere razionale credere che si possa produrre un ordine ed una schematizzazione perfetta, scientifica, della società, dell’economia e della politica, forse persino della religione, ma è estremamente irragionevole pensare che un uomo sia in grado di contenere quest’ordine in sé al punto da poterlo ricreare. La realtà d’altra parte ci ammonisce: le regole servono fino a che non si scontrano contro un muro insormontabile; le regole servono, fino a che non servono più.

Come ho già detto, molti vittoriani questo lo avevano capito. Per questo, al di fuori delle solide mura della Scienza e della Ragione ammettevano esistesse qualcosa di pericoloso e affascinante, in grado di penetrarle o che loro erano in grado di esplorare. Qui però iniziano a cascare gli asini.

I vittoriani, come gli illuministi e alcuni razionalisti secenteschi prima di loro, avevano un modo insolito di confrontarsi col soprannaturale e l’irrazionale. La maniera tradizionale è sempre stata attraverso tre mezzi: mito, rito e rivelazione. La ragione in questi campi ha un suo ruolo, anche se limitato: è lì per comprendere il significato dei primi due e la credibilità del testimone dell’ultima. Non è uno strumento perfetto per questo scopo, ma comunque adeguato; in altre parole, non è infallibile, ma può arrivare molto lontano; questo è il profilo della ragionevolezza. Mito, rito e rivelazione, secondo le modalità della tradizione umana, sono le mura più ampie di quelle della ragione che ci danno una certa sicurezza nell’esplorare l’ignoto e la metafisica.

Ora, il vittorianesimo non amava la tradizione; la vedeva come un limite invalicabile oltre le mura della pura ragione, confine che non doveva esistere. L’unico vero muro protettivo, l’unico vero ordine ordinato e perfetto era la razionalità stessa. L’ordolatria è un monoteismo estremamente intollerante, in quanto ammette un solo modo di sistemare le cose. Sia chiaro, non tutti i muri di tutte le tradizioni erano uguali, ma proprio per questo ha senso scegliere con cura quali sono quelli di cui fidarsi, quelli che lasciavano entrare le cose migliori e lasciavano fuori le peggiori. Anche in questo la ragione avrebbe avuto il suo ruolo: discernere tra i muri buoni e quelli cattivi, non costruendo il suo muro, ma osservando le conseguenze di ciascuno. Anche questo è il profilo della ragionevolezza.

Ciò che invece è assolutamente irragionevole (parola gentile per “imbecille”) è lanciarsi a capofitto e completamente a caso nell’ignoto, pensando di poterlo dominare o che non possa avere conseguenze così terrificanti. Il vittorianesimo, data la sua grande razionalità e intelligenza, ovviamente ha scelto quest’ultima opzione. I protoromantici avevano rifiutato una struttura oppressiva e soffocante come quella puramente razionale, senza proporre una vera alternativa; i vittoriani, visto il successo della cosa, annessero questo tipo di pensiero alla loro struttura iper razionale. In altre parole, quello che restò fu solo la struttura soffocante e la fuga da essa verso un’ignoto terrificante.

L’invenzione di tradizioni fasulle per sostenere questa fuga, prive non solo di storia, ma spesso di dei confini veri e definiti, incapaci di recintare davvero una porzione di irrazionale, non era altro che il tentativo romantico e protoromantico di fingere che esso non fosse così terribile. Il vittorianesimo accolse tutto questo senza porre domande o fare questioni. Iolo Morgannwg non fu messo alla prova quanto MacPherson per il semplice fatto che la sua “tradizione” era un paracadute per un salto in quell’ignoto che tanto si desiderava esplorare; paracadute, ahimé, non destinato ad aprirsi.

Conosciamo bene le conseguenze di queste invenzioni, dal mormonismo all’ariosofia; pure le pensiamo delle semplici degenerazioni, dovute al baldo spirito di qualche uomo debole e desideroso di potere che non seppe reggere di fronte all’immensa conoscenza del metafisico che aveva raggiunto. Eppure nessuna tradizione, anche mossa da un uomo del genere, precedente ha prodotto idee e pratiche tanto convolute e malvagie. La ragione è semplice: seguire una strada è sempre meglio che non seguirne nessuna; avere un recinto in cui poter stare, limita notevolmente il numero di bestie feroci con cui avere a che fare, anche quando alcune di esse ci sono rimaste prese dentro, o il recinto stesso è la bestia feroce. Dovrebbe essere logico, ma la logica è un punto debole del nostro tempo; per questo alla fin fine preferiamo l’irragionevole all’irrazionale, da bravi vittoriani quali siamo: crediamo che la libertà sia la scissione di ogni legame e ondeggiamo come un pendolo continuamente tra momenti di follia iper razionale che esclude qualsiasi cosa non sia immediatamente comprensibile, e totale rifiuto della ragione, che esclude qualsiasi cosa possa essere comprensibile. Vogliamo profezie prive di senso per illuderci della loro profondità e intelligenza, o forse della nostra; e vogliamo manette di ferro in cui rifugiarci, non appena ci sembra di aver fatto un movimento di troppo.

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Samuele Baracani: nato nel 1991, biellese, ma non abbastanza, pendolare cronico, cresciuto nelle peggiori scuole che mi hanno avviato alla letteratura e, di lì, allo scrivere, che è uno dei miei modi preferiti per perdere tempo e farlo perdere a chi mi legge. Mi diletto nella prosa e nella poesia sull'esempio degli autori che più amo, da Tasso a David Foster Wallace. Su ispirazione chauceriana ho raccolto un paio di raccontini di bassa lega in un libro che ho intitolato Novelle Pendolari e, non contento, ho deciso di ripetere lo scempio con Fuga dai Faggi Silenziosi.

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