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La storia degli yak, un monito sovietico

Non credo serva tediare il mio lettore col dire che il modo migliore per fare qualcosa sia unire l’utile al dilettevole; eccomi dunque a parlare di cultura economica ed aeroplani.
Allacciatevi le cinture dunque perché stiamo per decollare con la storia di Aleksandr Sergejeviĉ Yakovlev, o meglio, di come i suoi caccia divennero i più prodotti in Unione Sovietica.

Il contesto

Quando la Germania iniziò l’Operazione Barbarossa, l’Unione Sovietica non era affatto pronta alla guerra, e lo era ancora meno per quanto riguarda l’aviazione. Il suo caccia principale in quel momento era l’I.16 un monoplano pensato principalmente per affrontare biplani e che si era conquistato una certa fama durante la Guerra Civile Spagnola. L’alternativa era il LaGG3, soprannominato dai piloti “bara garantita”, facile da produrre ma con delle prestazioni che definire mediocri sarebbe un eufemismo esagerato, e non a caso sarebbe diventato a breve il caccia russo più abbattuto del conflitto. Evidentemente l’umorismo crudele dei piloti era abbastanza fondato.
MiG e Sukhoi, ora principali contractor dell’aviazione russa, non erano ancora riusciti a produrre nulla di particolarmente efficace, e sarebbero comunque rimasti piuttosto indietro ancora per un po’, anche quando fossero entrati in produzione i loro primi aerei.

Entra l’eroe

In questa situazione tutt’altro che idilliaca sbucò però un altro attore, lo Yak1. Solido, dotato di un armamento decente, facile da produrre, si rivelò presto il miglior caccia russo a disposizione e continuò ad essere migliorato con lo Yak3, poi Yak7 e infine Yak9.
Alcuni lo definiscono il caccia più prodotto di tutta la Seconda Guerra Mondiale, accorpando i dati di tutte le varianti.
Uno straordinario successo per il suo progettista, Aleksandr Yakovlev.

Mito e realtà

Se però andiamo a prendere un po’ di dati in più oltre a quelli di produzione, o anche solo disaccorpiamo le varianti, il quadro si complica. Un aereo, alla fin fine, non si valuta da quanti ce ne sono, ma da quanto funziona.
Ebbene, il miglior aereo russo non era uno Yak, e se per questo non era neanche russo: era il P39 americano, dato in leasing dagli Stati Uniti e letteralmente adorato dai piloti russi, sia per la sua manovrabilità, che per il suo armamento pesante. Se si pensa che per gli americani si trattava di un aereo estremamente mediocre, il quadro si fa un tantino più grigio. Ciononostante i russi riuscirono a farlo funzionare e ci tirarono fuori alcuni tra i loro migliori assi.
Il secondo miglior caccia, di nuovo, non fu uno Yak. Vi ricordate il LaGG3? Ebbene uno dei suoi progettisti, Semen Alekseeviĉ Lavoĉkin, decise di farsi perdonare e tirò fuori il suo capolavoro, il La5. Veloce, dotato di un ottimo motore e di un ottimo armamento, solido, andò a breve a sostituire il suo predecessore ed anche lui produsse un buon numero di assi con decine di abbattimenti. Questo comunque non evitò il gulag al suo ideatore.
E gli Yak? Stranamente i dati che ne riportano la straordinaria efficacia, parlano principalmente della produzione e un po’ meno del resto. Sia chiaro, lo Yak9 non era affatto un cattivo aereo, capace di gareggiare persino coi primi jet (tra i pochi aerei ad abbattere un Me262). Eppure in qualche modo resta indietro rispetto ai suoi concorrenti per numero di abbattimenti e per assi. Sì può argomentare che ciò sia dovuto al suo impiego estremamente tardivo, ma resta il fatto che i dati sono estremamente meno puliti di quelli del La5 che, stando ai dati ufficiali, sarebbe diventato operativo poco prima.

Il segreto di Pulcinella

C’è un fatto che fino ad ora ho tenuto nascosto. Uno che spiega perché Lavoĉkin, Petliakov e tanti altri (tra cui molti che contribuirono al famoso cannone da 37 mm dello Yak9) furono rimossi dalle loro posizioni e videro il gulag e Yakovlev no.

Aleksander Sergejeviĉ Yakovlev nel 1938 era diventato viceministro dell’aviazione.

In un’economia dirigista come quella sovietica, questo dato è tutt’altro che irrilevante. Di fatto Lavoĉkin, Petliakov, Tupolev, Ilyuŝin, Sukhoi, Mikoyan, Gureviĉ e tutti gli altri, lavoravano per lui. Per la sua posizione, Yakovlev aveva tranquillamente accesso a tutte le informazioni che gli servivano, poteva finanziare i progetti per le parti che gli sarebbero state utili (come il famoso cannone ŜVAK da 37mm), poteva dirigere la produzione più verso i suoi aerei che verso altri.

Una questione sistemica

Sarebbe però ingiusto ridurre tutto il lavoro di Yakovlev ad una semplice arrampicata sociale, ed all’uso del proprio potere per fare concorrenza sleale. Il problema è, più che altro, che il dirigismo sovietico aveva annientato il concetto stesso di concorrenza, ed ancora di più quello di cooperazione. Scalare la gerarchia era l’unica alternativa al finire prima o dopo in campo di prigionia, che fosse con l’accusa di sabotaggio, lavoro inefficiente o chissà che altro. Quando è un organismo centrale a decidere quale sia il merito, non è solo meglio, ma è necessario diventare il cocco di Stalin per poter anche solo stare a galla.

La questione, però, non è solo sovietica, né solo socialista. Come notava Belloc, socialismo e capitalismo tendono alla stessa deriva, anzi, il socialismo è solo l’ideale con cui si arriva alla fase estrema e decadente del capitalismo, quella in cui la competizione per il mercato è semplicemente sostituita dalla competizione per il potere, sempre tra gli stessi soliti pochi. La multinazionale che si inserisce come gruppo di pressione in politica, non sta facendo altro che la stessa cosa in modo apparentemente meno istituzionalizzato. La differenza è che, mentre Yakovlev aveva una straordinaria passione per quello che faceva e quindi si sforzò di produrre aerei decenti e di migliorarsi, la multinazionale è solo assetata di sicurezza, e pensa di raggiungerla tramite il monopolio invece che dare spazio al merito.

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Samuele Baracani: nato nel 1991, biellese, ma non abbastanza, pendolare cronico, cresciuto nelle peggiori scuole che mi hanno avviato alla letteratura e, di lì, allo scrivere, che è uno dei miei modi preferiti per perdere tempo e farlo perdere a chi mi legge. Mi diletto nella prosa e nella poesia sull'esempio degli autori che più amo, da Tasso a David Foster Wallace. Su ispirazione chauceriana ho raccolto un paio di raccontini di bassa lega in un libro che ho intitolato Novelle Pendolari e, non contento, ho deciso di ripetere lo scempio con Fuga dai Faggi Silenziosi.

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