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Standard ovvero mediocrità

“Se non sei sposato a trent’anni, sei un pervertito”. Ho letto questa frase qualche giorno fa’ su twitter e sono rimasto alquanto infastidito. Certo, è una gran noia essere giudicati da qualcuno che nulla sa di chi sei, cosa hai vissuto e via discorrendo. Svanito però il disagio dovuto a questa ragione, ne è rimasto un altro che non sapevo come definire. Poi, ad un tratto, l’intuizione: il polo positivo del giudizio era totalmente inconsistente.

Sposarsi è facile. Trovare una persona che, schiacciata dallo stesso peso del giudizio sociale, sia disposta a tutto per non mostrarsi “pervertita”, non è così impossibile. Ma sarebbe un buon accomodamento? Sarebbe un modo per avere una qualche forma di felicità e di stabilità o di ricercarne l’illusione?

Va notato che questo non vale solo per il matrimonio (o per l’avere un compagno in generale) ma per ogni altro standard che ci poniamo come obiettivo, che si tratti di carriera, soldi, fama e via discorrendo. Il fatto è che l’uomo non è fatto per la sufficienza. “O tutto o nulla” diceva Brand nell’omonima opera di Ibsen, e non siamo in grado di ragionare altrimenti. Non ci basta un risultato che ci omologhi agli altri: vogliamo il nostro, quale che sia. Ed è per questo che non possiamo sopportare un’asticella, pure minima: l’abbastanza diventa in breve un qualcosa su cui sedersi ed accomodarsi in una fragile mediocrità. E la mediocrità non sarebbe poi tanto male se potessimo esprimere l’insoddisfazione che ci provoca, ma è qui che entra in gioco la sua guardia del corpo: l’ipocrisia.

Ed è qui che si torna al principio. Pretendere che qualcuno si adegui ad uno standard, e spesso al proprio standard, è pura ipocrisia. Si tratta di un modo comodo di sentirsi arrivati e realizzati senza, di fatto, fare nulla. Sedersi su ciò che si è già fatto e lavorare solamente per mantenerlo, vuol dire non avere più prospettive; ma l’ipocrisia ci dice che il non avere più prospettive vuol dire essere riusciti e realizzati. Poco importa se la cosa non ci basta; questa frustrazione è solo dovuta al fatto che guardiamo ancora alle stelle e non alle stalle che abbiamo lasciato: che cosa non può essere curato dallo snobismo?

Lo snob non è altro che il sarcofago dell’uomo che è stato. Non ha nulla da aggiungere alla vita sua e degli altri se non il suo disprezzo, e a guardare le cose da questa prospettiva diventa chiaro il perché: chi non vive non ha niente da dare.

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Samuele Baracani: nato nel 1991, biellese, ma non abbastanza, pendolare cronico, cresciuto nelle peggiori scuole che mi hanno avviato alla letteratura e, di lì, allo scrivere, che è uno dei miei modi preferiti per perdere tempo e farlo perdere a chi mi legge. Mi diletto nella prosa e nella poesia sull'esempio degli autori che più amo, da Tasso a David Foster Wallace. Su ispirazione chauceriana ho raccolto un paio di raccontini di bassa lega in un libro che ho intitolato Novelle Pendolari e, non contento, ho deciso di ripetere lo scempio con Fuga dai Faggi Silenziosi.

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