Quando dico di sentirmi assai vicino a quelli che definisco “amici di carta”, cioè a quella schiera di autori, letterati e santi che mi accompagna giorno per giorno con le loro parole, le persone molto spesso mi fraintendono. Quando dico di provare una certa comunione con Tolkien, Lewis, Chesterton e Guareschi, o con Beato Piergiorgio Frassati, San Francesco d’Assisi e Santa Giovanna d’Arco, normalmente la gente pensa senza esitare che io mi voglia elevare al loro livello, che io mi senta pari di un grande autore o di un santo della Chiesa. Questo è un errore comprensibile: l’uomo è creatura vanitosa, prima ancora che sociale, perciò tenderà sempre ad associarsi agli esempi virtuosi, alti piuttosto che a quelli cattivi, bassi; di conseguenza, è quasi automatico percepire un’associazione come la mia come un eccesso di vanità e di orgoglio. Ma tutto questo, almeno in questo caso, è l’opposto della verità. Io non mi associo al professore di Oxford perché autore della più grande saga fantasy di sempre, né provo vicinanza con Giovanna d’Arco perché ha restituito la corona francese al legittimo re guidando un esercito e affrontando la morte sul rogo con coraggio. Io mi sento a loro affine perché nonostante tutto questo, nonostante le opere immortali e le imprese eroiche, erano comunque umani. Nonostante la grandezza e l’eco delle loro vite che si propaga attraverso i secoli, erano uomini e donne come me. Avevano le loro debolezze, i loro dubbi; caddero come cado io, sbagliarono come sbaglio io. Ebbero vite straordinarie ma ordinarie al tempo stesso. Ed è proprio sapere che Chesterton era un pigrone che doveva quasi essere trascinato nella vasca da bagno che me lo fa apparire più vicino; è scoprire che Piergiorgio ebbe amici come li ho io, si innamorò come mi sono innamorato io, ebbe un rapporto conflittuale coi genitori come capita al novantanove percento dei giovani che me lo fa chiamare amico; è leggere di come Lewis fosse un po’ snob, di quelli che io non sopporto nella maniera più assoluta, che me lo rende simpatico. Non sono la santità di don Bosco o la genialità di Tolkien a farmeli vedere come amici più che come maestri, ma la loro assoluta normalità. Perché in fondo, se ci pensiamo bene, santi ed eroi, geni e poeti sono tali perché fanno una scelta, perché si votano a qualcosa o Qualcuno, danno sé stessi a una causa. Non sono speciali nella sostanza, non sono diversi da tutti noi. Non sono diversi da me. Paradossalmente, potremmo dire che sono io ad abbassare loro, più che loro ad innalzare me. E se per questo posso sembrare ancora più vanitoso, superbo e orgoglioso, be’, considerate che alla fine sono umano.
Edoardo Dantonia: classe 1992, sono il più giovane e il più indegno di questo terzetto di spostati che si fa chiamare Schegge Riunite. Raccontavo storie ancor prima di saper scrivere, quando cioè imbastivo veri e propri spettacoli con i miei pupazzi, o quando disegnavo strisce simili a fumetti su innumerevoli fogli di carta. Amante della letteratura, in particolare quella fantastica e fantascientifica, il mio sogno è anche la mia più grande paura: fare della scrittura, cioè la mia passione, il mio mestiere.