Quando si insegna qualcosa a scuola si è spesso costretti a semplificare e banalizzare senza pietà; un processo orribile, ma necessario. Sarebbe però utile che la banalizzazione evitasse di inventarsi cose di sana pianta, come accade molto meno di rado di quanto non si creda. Il romanzo giallo, fra tutti i generi letterari è quello che probabilmente ha subito la più grave ingiustizia proprio in questo campo. La prima cosa di cui si parla quando l’argomento viene affrontato non è di delitti, ma del metodo del detective.
Ora certamente gli occhi di ciascuno si sono illuminati, mentre alla mente sono tornato i brani scelti dal libro di antologia per illustrare il metodo di ogni investigatore. Se però fossimo ora tutti interrogati appunto sul metodo di ciascun detective ci ritroveremmo a spiccicare qualche parola sconnessa mentre sudiamo freddo. In questo genere letterario, in effetti, se dovessimo iniziare a tracciare le differenze di metodo tra i vari protagonisti, ci troveremmo di fronte ad un giallo ancora più intricato di quelli partoriti dai migliori scrittori. Forse dopo qualche tempo ci troveremmo costretti ad accantonare il libro delle medie e ad affrontare la realtà: esiste un solo metodo per risolvere il mistero di un crimine ed è estremamente banale e freddo. Occorre analizzare i personaggi, il possibile movente, l’occasione, la volontà, la capacità di agire di ciascuno, il tutto dopo aver raccolto le prove sulla scena del delitto. Il procedimento è semplice e lineare e questo è il vero fondamento di qualsiasi giallo: se non fosse così il lettore non avrebbe la possibilità di scervellarsi a sua volta su chi sia il colpevole. D’altra parte lo scopo di Arthur Conan Doyle quando scrisse Sherlock Holmes era dimostrare che la Scienza era in grado di sconfiggere il male. Peccato che ci sia riuscito solo in parte. La Scienza è metodo e studio e non genio, e questo è certo; Holmes però è un genio. Pur essendo il primo di una lunga serie, il suo metodo non è così straordinario e non agisce così diversamente da Scotland Yard; deve rispondere alle stesse domande e raccoglie le prove e le testimonianze allo stesso modo. Che ha dunque di suo? Un eccezionale colpo d’occhio e una grande capacità di ragionare rapidamente e su tutto. Sherlock Holmes usa un’arma a disposizione di tutti: la Logica. Però vede cose che la maggior parte delle persone non vedono e le collega con estrema rapidità e precisione. Quando mostra le sue capacità a Watson, analizzando gli oggetti che ha in tasca, così come in ogni altro caso, è prima di tutto la sua capacità di vedere che lo guida alla soluzione dei misteri.
Che dire di un altro? Poirot non ha certo la stessa attenzione ai dettagli, però ha una grande intelligenza psicologica e un’ottima capacità deduttiva. Grazie a queste mette a posto gli elementi, seguendo sempre il metodo. Charlie Chan? Non usa certo una tecnica investigativa diversa, semplicemente ha dalla sua un punto di vista esterno a quello occidentale e una grande intelligenza. Padre Brown, da parte sua, fa della sua forza la capacità di immedesimarsi nell’omicida, nel ladro e nel brigante, ma anche questo non è cosa da tutti. Non è un metodo, ma come dice lui stesso è una capacità acquisita grazie alla sua esperienza e al suo contatto continuo col male che si trova negli uomini. Qualsiasi romanzo giallo alla fine nasconde sotto quello che viene presentato come metodo la personalità geniale di un investigatore più o meno occasionale.
Come già detto, Doyle sarebbe estremamente poco felice della piega che involontariamente ha dato lui stesso al genere che ha fondato. Sarebbe però estremamente più felice di sapere che il metodo, scientifico ed accurato, in cui confidava tanto alla fine è rimasto invariato. Il procedimento di raccolta delle prove, interrogatorio degli indiziati, raccolta di movente, occasione, volontà, e capacità è rimasto lo stesso e, a meno che chi il giallo lo scrive non voglia ingannare il lettore, esso resta esplicitamente a disposizione. Le prove vengono snocciolate, i personaggi mostrati e lasciati all’analisi del pubblico, il tutto nell’ordine più perfetto. Perché in realtà il vero detective nel giallo non è l’investigatore di turno, ma siamo noi che leggiamo e ci sforziamo di scoprire ogni cosa. Il solutore che arriva alla fine come un deus ex machina è per lo più solo il mezzo attraverso cui, immedesimandoci, possiamo arrivare alla soluzione. Ma se noi siamo arrivati dove lui, che è straordinario, ha potuto, allora il metodo funziona e la civiltà non ha bisogno di eroi, ma solo di ordine e disciplina per procedere. Viceversa, se non è così, ci tocca di nuovo affidarci ad un uomo superiore, che ci lascia, stupiti, a guardare la dimostrazione delle sue qualità.
Samuele Baracani: nato nel 1991, biellese, ma non abbastanza, pendolare cronico, cresciuto nelle peggiori scuole che mi hanno avviato alla letteratura e, di lì, allo scrivere, che è uno dei miei modi preferiti per perdere tempo e farlo perdere a chi mi legge. Mi diletto nella prosa e nella poesia sull'esempio degli autori che più amo, da Tasso a David Foster Wallace. Su ispirazione chauceriana ho raccolto un paio di raccontini di bassa lega in un libro che ho intitolato Novelle Pendolari e, non contento, ho deciso di ripetere lo scempio con Fuga dai Faggi Silenziosi.