Discuto con mio padre, con amici, con mia sorella e non ne vengo mai a capo di niente, che io abbia ragione o meno, che io abbia usato argomentazioni intelligenti o meno; non parlo di vincere la discussione, ma di trarne qualcosa di utile e costruttivo, un dubbio sul mio costrutto mentale, un’ipotesi nuova, un’intuizione grandiosa, come con qualcuno mi accade ogni tanto. Certo, in parte è colpa mia e del mio ego che non desidera altro che dimostrarsi più grande, eppure c’è anche qualcos’altro, qualcosa che rende impossibile andare d’accordo anche quando lo si è. Ho notato che molto di frequente, quando si inizia un discorso specifico e controverso, le risposte sono poco centrate sull’argomento, come se si trattasse di risposte preconfezionate da tirare fuori al momento opportuno. Questo modo di non pensare io lo chiamo ideologia e lo ritengo responsabile della maggior parte delle follie che la modernità ci impone, perché devia sempre il problema dalla sostanza a quello che la mentalità comune ritiene importante
Samuele Baracani: nato nel 1991, biellese, ma non abbastanza, pendolare cronico, cresciuto nelle peggiori scuole che mi hanno avviato alla letteratura e, di lì, allo scrivere, che è uno dei miei modi preferiti per perdere tempo e farlo perdere a chi mi legge. Mi diletto nella prosa e nella poesia sull'esempio degli autori che più amo, da Tasso a David Foster Wallace. Su ispirazione chauceriana ho raccolto un paio di raccontini di bassa lega in un libro che ho intitolato Novelle Pendolari e, non contento, ho deciso di ripetere lo scempio con Fuga dai Faggi Silenziosi.