Ariana Grande non mi piace per nulla non perché fa dei balletti sensuali di fronte a dei ragazzini, non perché non fa vera musica, non perché è uno dei mezzi di instupidimento del potere, ma perché sta lucrando, probabilmente senza accorgersene, sulla tragedia che la vede solo marginalmente coinvolta. Se prima era famosa, ora tutti la conoscono; il suo concerto a scopo benefico la nobilita e aumenta la sua appetibilità; è diventata una sorta di icona della lotta al terrorismo quando in realtà non ha fatto nulla se non piangere e vendere qualche maglietta mentre il mondo di rimando si è attaccato a lei, ha iniziato ad ascoltare le sue canzoni a ripetizione, a comprare i suoi dischi e gadget. Detesto Ariana Grande perché ha innocentemente monetizzato la tragedia di cui ha fatto parte come sfondo; perché, incurante dei cadaveri, con una sciocca e vana speranza negli occhi, ha fatto in modo di diventare la nuova beneficiaria del terrore, cosa che, pur tra tutti i moralismi inutili, è ciò che le vittime si meritavano di meno.
Samuele Baracani: nato nel 1991, biellese, ma non abbastanza, pendolare cronico, cresciuto nelle peggiori scuole che mi hanno avviato alla letteratura e, di lì, allo scrivere, che è uno dei miei modi preferiti per perdere tempo e farlo perdere a chi mi legge. Mi diletto nella prosa e nella poesia sull'esempio degli autori che più amo, da Tasso a David Foster Wallace. Su ispirazione chauceriana ho raccolto un paio di raccontini di bassa lega in un libro che ho intitolato Novelle Pendolari e, non contento, ho deciso di ripetere lo scempio con Fuga dai Faggi Silenziosi.