Non è passato molto tempo da quando il nostro elegante intellettuale di sinistra è stato dimesso per l’ennesima volta dall’ospedale.
Ancora fasciato e ingessato, torna a casa di corsa, per così dire, senza fare deviazioni e ignorando chiunque abbia l’aria di potergli rivolgere la parola. Giunto sul fatidico pianerottolo, ben attento che non ci siano i pacifisti in agguato, si chiude in casa tutto trafelato. Una volta al sicuro, accende la TV e cerca di rilassarsi. Ma sotto casa un gran vociare lo disturba, così si affaccia e vede che è in corso un’assemblea di comunisti, con tanto di palco e microfoni e casse da concerto. Tutto eccitato pensa: “Da loro non posso temere nulla: la causa proletaria è sopra tutto!”, per poi scendere, sempre di corsa, per così dire.
Dopo essersi infilato tra la folla, raggiunge il palco e fa segno di voler parlare, così la sicurezza lo issa accanto al microfono e un uomo in giacca e cravatta gli cede la parola. “Compagni!”, inizia alzando il pugno e suscitando applausi e grida, “Gli uomini son tutti uguali!”, ancora applausi, “Uomini e donne uniti per un fine comune!”, sempre più forte. Che sia la volta buona? Pare di sì: dopo qualche altro slogan, scende dal palco e si mette in disparte, orgoglioso e felice d’aver contribuito alla causa proletaria.
Dopodiché, a evento finito, attraversa la strada per tornare a casa, ma un’auto lo investe scagliandolo a vari metri di distanza. Subito dal veicolo, una Rolls-Royce coi vetri oscurati, scendono delle persone: è l’uomo che conduceva l’assemblea con la sua scorta. “Mi dispiace immensamente!”, dice costernato quello, “Ecco, questo è il numero del mio avvocato, spero possa esserle utile”, aggiunge porgendogli un biglietto. Nel mentre gli uomini della sicurezza lo alzano, gli sistemano i vestiti, poi risalgono in auto con il loro capo e sfrecciano via.
Così il nostro intellettuale rimane poggiato a un muretto, con in mano un biglietto insanguinato e con nuove fratture e commozioni a ricordargli quanto può essere dolorosa una giusta causa.
Edoardo Dantonia: classe 1992, sono il più giovane e il più indegno di questo terzetto di spostati che si fa chiamare Schegge Riunite. Raccontavo storie ancor prima di saper scrivere, quando cioè imbastivo veri e propri spettacoli con i miei pupazzi, o quando disegnavo strisce simili a fumetti su innumerevoli fogli di carta. Amante della letteratura, in particolare quella fantastica e fantascientifica, il mio sogno è anche la mia più grande paura: fare della scrittura, cioè la mia passione, il mio mestiere.