Il cliente non ha sempre ragione. Ma considerarlo il disumano ingranaggio di una catena di montaggio è l’opposto a cui nessun esercente dovrebbe puntare.
Siccome non mi piace fare cattiva pubblicità, almeno non pubblicamente, non farò il nome del bar da dove sono stato praticamente cacciato, nemmeno tanto garbatamente, perché stavo occupando un tavolo da un paio d’ore (pagando consumazione e coperto, ca va sans dire) perché “se arriva altra gente ho bisogno del tavolo”. Farò invece il nome di un esempio virtuoso, di un luogo che ho già avuto modo di lodare e che voglio tornare a consigliare a chiunque cerchi un po’ di umanità.
Parlo de L’Alchimista di Biella, dove ho passato tra le ore più liete della mia vita. Un baretto piccolo e semplice, ma pieno di tutte quelle cose che in locali ben più ampi ed eleganti non si trovano nemmeno con la lente l’ingrandimento. Un ritrovo dove puoi pure prenderti un caffè e stare in compagnia tutte le ore che vuoi; un pub nel vero senso del termine, cioè una public house, una casa pubblica, vale a dire una seconda casa con una seconda famiglia.
Quante volte ho preso uno o due caffè dal buon Michele, occupando sgabelli o tavoli, senza che lui pensasse anche solo per un istante di mandarmi via perché chissà mai quanti altri clienti avrebbero potuto arrivare! Quante sigarette fumate in compagnia coi cocktail poggiati sul tavolo, dentro, senza il timore che qualcuno li potesse portar via!
Alla fine non mi piace ragionare in un’ottica commerciale; non desidero essere considerato consumatore, bensì cliente. E d’altronde non penso proprio che Michele faccia tutto questo considerando ogni risvolto economico della faccenda. Ma, conscio o meno, volente o nolente, in me ha trovato non un consumatore, ma appunto un cliente. E così facendo, paradossalmente, si è assicurato il consumo di un’infinità di caffè. L’altro gestore, un signore anziano e sicuramente molto saggio e pratico, trattandomi da consumatore si è assicurato un paio di tavoli in più quest’oggi; ma ha perso non so quanti caffè da qui all’eternità.
Edoardo Dantonia: classe 1992, sono il più giovane e il più indegno di questo terzetto di spostati che si fa chiamare Schegge Riunite. Raccontavo storie ancor prima di saper scrivere, quando cioè imbastivo veri e propri spettacoli con i miei pupazzi, o quando disegnavo strisce simili a fumetti su innumerevoli fogli di carta. Amante della letteratura, in particolare quella fantastica e fantascientifica, il mio sogno è anche la mia più grande paura: fare della scrittura, cioè la mia passione, il mio mestiere.