Nel centocinquantenario dell’Unità d’Italia tutti hanno cominciato a sentirsi molto italiani (e sarebbe stata anche l’ora) e a lodare il loro paese; qualcuno ha perfino smesso di lamentarsi dei treni causando dei gravissimi scompensi nel karma ferroviario, che come tutti sanno è l’unico veramente attivo su questa Terra (cari appassionati di Fall-out, mi dispiace dovervi riportare a questa infelice realtà). La cosa però più interessante e quasi ridicola era che il sentirsi italiani corrispondeva a tutta una serie di cose che hanno molto poco a che fare con l’Italia vera; pizza e pasta continuavano a venire riproposte come l’unico cibo di cui ci nutriamo ed un tratto distintivo non solo agli stranieri ignoranti, ma prima di tutto a noi stessi, che dovremmo conoscere la nostra cucina. Per una qualche grazia almeno il mandolino ci fu risparmiato e per una qualche altra strana ragione i discorsi sulla mafia si ridussero al minimo; ma si sa, i luoghi comuni vanno scelti con cura. La pizza la trovo anche a New York ed anzi, credo che sia consumata lì più che in tutta Italia; la pasta si trova in un qualsiasi ristorante italiano, pure se di italiano ha solo il nome, in giro per il mondo; le canzoni che venivano proposte come italiane non erano quelle che ascoltiamo con piacere quotidianamente e che ci insegnano a vivere, ma quelle che vi aspettereste di sentire in un qualsiasi locale che voglia far credere di avere a che fare con l’Esperia. Possibile che sia questa la nostra identità? Se io avessi desiderato richiamare ad uno straniero l’esistenza della mia nazione e fossi assai pigro e poco interessato a mostrare cosa sono, potrei ricorrere a queste trivialità, che non sarebbero poi tanto un vanto, per quanto possa essere sano l’olio d’oliva. Eppure erano questi i nostri vanti; dieta mediterranea, cibi tipici (molto generalizzati e imprecisi, perché siamo Italiani e non Veneti, Piemontesi, Siculi, Toscani et cetera).
https://www.youtube.com/watch?v=E_xwp8d7RIo
Forse però esiste un modo diverso di percepire l’appartenenza… (continua…)
Samuele Baracani: nato nel 1991, biellese, ma non abbastanza, pendolare cronico, cresciuto nelle peggiori scuole che mi hanno avviato alla letteratura e, di lì, allo scrivere, che è uno dei miei modi preferiti per perdere tempo e farlo perdere a chi mi legge. Mi diletto nella prosa e nella poesia sull'esempio degli autori che più amo, da Tasso a David Foster Wallace. Su ispirazione chauceriana ho raccolto un paio di raccontini di bassa lega in un libro che ho intitolato Novelle Pendolari e, non contento, ho deciso di ripetere lo scempio con Fuga dai Faggi Silenziosi.