“Ordinarie follie” di Edoardo Dantonia

L’aria era impregnata d’incenso, quasi ci si trovasse in mezzo a una nebbia fluttuante. I volti tutt’intorno erano di pietra, le mascelle contratte, i muscoli tesi, pronti allo scatto. Gocce di sudore colavano sulla fronte del signor X, il quale era troppo concentrato per potersene curare. La signora Y strinse il bastone tra le mani, producendo uno scricchiolio tra il legno e la scorza della sua pelle rugosa. I signori Z, muniti di bimbo piangente, tentavano di bloccare la piccola piovra che si agitava tra le loro mani, senza mai spostare lo sguardo da P.
La tensione cresceva sempre di più. P alzò lo sguardo, mandando giù per la gola un groppo di ansia. Sapeva che il momento era giunto. Poteva tergiversare quanto voleva, ma prima o dopo avrebbe dovuto fare i conti con la realtà. Non era la prima volta che assisteva a quello spettacolo, ma nessuno potrebbe mai essere preparato abbastanza a ciò che stava per accadere. Col sudore che gli imperlava la fronte, lanciò uno sguardo alle facce immediatamente dinnanzi: tutti gli occhi erano puntati su di lui, in spasmodica attesa.
Trattenendo il tremolio delle sue mani disse infine, con voce il più possibile solenne: “Io vi benedico”. Le gambe degli astanti si mossero appena, mentre il prete alzava la mano destra pronto al segno di croce, “nel nome del Padre”, qualcuno strinse la panca di fronte a sé, “del Figlio”, i piedi fremettero, “e dello Spirito Santo”. Come dopo lo sparo che segnala la partenza dei cento metri, la platea si scaraventò fuori dalle panche con la foga di un esercito di spartani. Le prime vittime erano, come sempre, quelli che sedevano alle estremità (a meno che si trattasse di qualcuno abbastanza veloce da dileguarsi in tempo). Ginocchia sbucciate e rotule fratturate seguivano alla genuflessione di chi si arrischiava a compierla in quel frangente. E questo quando non venivano calpestati da individui pratici, i quali evitavano quel gesto per raggiungere più velocemente la salvezza. Santini, foglietti e libri di canti sferzavano la nebbia di incenso.
Il prete disperato provò a dire: “La messa è finita, andate in pace”, ma ognuno pensava ad uscire di lì sano e salvo. La signora Y riuscì a farsi strada per un pezzo mulinando il suo bastone. I coniugi Z purtroppo caddero, risucchiati dalla marea di persone. Il loro pargolo riuscì invece a salvarsi facendo un balzo e saettando tra le numerose gambe che si alternavano. Il signor X si fece largo a spallate fino all’uscita, poi si ricordò che doveva ancora segnarsi. Si voltò verso l’acqua benedetta e vide che accanto era appena apparsa la signora Y. Gli sguardi dei due s’incontrarono, le palpebre si strinsero. Mezzogiorno di fuoco a confronto impallidiva. Attorno la folla ancora lottava per l’uscita. In un attimo i due si lanciarono verso la vasca. La signora Y saltò come una lepre nello stesso istante in cui il signor X aveva raggiunto l’acqua, lo spinse via con una forza impensabile per una donna di quell’età e riuscì a segnarsi intingendo le dita nel liquido benedetto. Il signor X ruzzolò qualche metro più in là, sconfitto.
Pian piano la folla si esaurì. Quando anche gli ultimi sopravvissuti lasciarono la chiesa, e gli ultimi foglietti volanti ricaddero a terra, sembrava di essere sul campo di Waterloo dopo la disfatta francese. Come ogni domenica, il povero sacerdote si preparò a raccogliere i feriti, ma sempre pronto ad un’altra messa, pronto ad un’altra battaglia. La battaglia contro gli idoli che trascinavano la gente fuori dal tempio, solo per gettarla in altri templi; templi in cui, invece di essere salvata, veniva perduta.