Gilbert Keith Chesterton è innegabilmente uno dei pensatori del secolo scorso più imponenti e influenti che ci possiamo trovare a fronteggiare. L’arguzia, l’ironia e il paradosso lo hanno consacrato come una sorta di monumento, soprattutto nell’ambiente cattolico, con qualche sortita nella cultura popolare moderna, come l’essere citato in Don Matteo, o la serie di articoli di Edoardo Rialti sul Foglio di qualche anno fa’. Eppure, nonostante tutto, il nostro resta una sorta di grande sconosciuto.
Paradossalmente, è il destino di molti autori di essere tanto più citati quanto meno sono conosciuti. Si potrebbe imputare la cosa alla scarsa attitudine alla lettura dei nostri contemporanei, eppure, a dire il vero, la macchina dell’editoria fino a poco prima della quarantena era più viva che mai. Non è che la gente legga poco, è che ha troppo da leggere. O forse proprio legge troppo e allo stesso tempo troppo poco. Sertillanges certo ci ammoniva di scegliere con cura le letture utili, e il moderno, pur non sapendolo, le ha scelte. Ed è qui che sorge il primo problema: la nostra mente è stata forgiata da un’età industriale e post-industriale ed ha un concetto di utilità utilitaria che si rivela alla fine dei conti inutile. Siamo abituati a giudicare le nostre letture su un’indice di produttività: vogliamo cavarne una massima quantità di contenuti con il minimo sforzo.
Sia chiaro, questi contenuti sono scelti bene; il lettore di oggi è troppo pretenzioso per leggere un libro che non gli cambi la vita e infatti il suo libro preferito sono le regole per vivere bene, o la testimonianza di un santo o di un grande. Difficile trovare una ricetta migliore per il fallimento. Dare dei buoni principi, anche derivati da un’esperienza personale, a chi cerca di realizzarsi è come dare una lista della spesa ad un affamato: può esser utile, ma di certo non è quello che risolverà il problema. Dire ad un uomo che l’Odissea insegna a vivere la famiglia per una ragione o per l’altra può essere il vezzo di un conferenziere o di un insegnante annoiato che in alcun modo potrà andarsi a sostituire alla lettura dell’opera. L’uomo contemporaneo però è troppo assetato di sapere per fermarsi a fare questa verifica e, alla fine, imparare davvero qualcosa. Il mito della lettura e della cultura lo ha reso troppo intellettuale per capire la cosa più semplice di tutte, ovvero che si impara vivendo e non leggendo. Qui il saggio, il trattato, il manuale, la testimonianza mostrano il loro limite profondo: contengono soltanto le istruzioni. Solo la buona narrativa può permettere di immedesimarsi ed entrare in ciò che si legge; solo la buona poesia ci farà respirare l’aria che respirava l’autore. Il nostro Chesterton abbonda di entrambe, e, proprio per questo, è più comodo come soprammobile che come oggetto di studio.
Ne è dimostrazione l’infinità di citazioni smangiucchiate che costella i discorsi dei suoi adepti. Frasi ad effetto pirotecniche e puntute, che però, senza la loro compiuta spiegazione, finiscono col rimanere solamente belle parole senza conseguenze. Non è il caso di far nomi e cognomi, almeno finché non si è presidenti di qualcosa, ma troverete questo errore nella maggior parte di coloro che gonfiano i loro discorsi con l’autorità del nostro mastodontico amico; e sì, è stata la colpa tante, troppe volte dell’autore di questo articoletto da due soldi.
Ci piaceva che Chesterton fosse una rosa spinosa, ma abbiamo scelto le spine e lasciato la rosa. Ci piace pungere i nostri avversari con le sue arguzie, ma poi non doniamo loro la ragione per cui quelle spine esistono; e così neanche noi aspiriamo il profumo e carezziamo i petali della sua saggezza. Ci siamo, in fin dei conti, convinti che la realtà sia facile, per il semplice fatto che è facile metterla su due righe ordinate, con la dovuta semplificazione. Di fondo, a capire che la Terra gira attorno al Sole ci vuol poco; saperlo spiegare con tutti i dovuti calcoli matematici un tantino meno, e per poterlo osservare ci sono dovuti programmi spaziali finanziati dalle più grandi potenze mondiali. Non si può addomesticare il mondo universo nemmeno in mille parole, figuriamoci in quattro; e un uomo è più grande dell’universo intero, soprattutto se si parla del nostro GKC. Per questo, fra i favori più grandi che gli si può fare, c’è quello di citarlo poco e leggerlo molto; goderselo e non usarlo.
Samuele Baracani: nato nel 1991, biellese, ma non abbastanza, pendolare cronico, cresciuto nelle peggiori scuole che mi hanno avviato alla letteratura e, di lì, allo scrivere, che è uno dei miei modi preferiti per perdere tempo e farlo perdere a chi mi legge. Mi diletto nella prosa e nella poesia sull'esempio degli autori che più amo, da Tasso a David Foster Wallace. Su ispirazione chauceriana ho raccolto un paio di raccontini di bassa lega in un libro che ho intitolato Novelle Pendolari e, non contento, ho deciso di ripetere lo scempio con Fuga dai Faggi Silenziosi.