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Grammatica e altre amenità

Molti lamentano la decadenza dell’italiano ed il suo impoverimento, per lo più dall’alto di cattedre prodigiose; si piange la decadenza del congiuntivo in alcuni luoghi, in altri l’incapacità del condizionale di affermarsi, in altri ancora la diminuzione di complessità nel discorso, la mancanza di subordinate, lo stile franto che pare diventato un obbligo e così via.

Seppure queste affermazioni provengano da torri d’avorio che si ritengono intatte e pure e squadrano dall’alto in basso questi nuovi fenomeni, bisogna ammettere che hanno qualcosa di vero, anche se la maggior parte di ciò che loro aborrono si potrebbe ricondurre a semplici fenomeni linguistici. Tralasciando il congiuntivo e il condizionale che si confondono nella misteriosa categoria del soggiuntivo e tutte le altre amenità di tale genere, osserviamo la questione della complessità sintattica e la tendenza alla banalizzazione del lessico, che sono i fenomeni più preoccupanti.

La realtà attorno a noi non ha certo smesso di dimostrarsi complicata e complessa, anzi, forse lo è molto di più di un tempo, o per lo meno più di un tempo l’uomo della strada viene a contatto con tale complessità. Perché allora non sfrutta al massimo la potenza del suo strumento più comune che è il linguaggio per poterla affrontare? Si potrà dire che i suoi modelli non lo fanno, ma questo non risolve il problema; perché infatti neanche i giornali, i blog, i libri se ne astengono? Si potrà dire che tutto questo avviene per esigenze di comunicazione, per poter raggiungere il numero massimo di persone e poter dar loro in modo chiaro un messaggio, eppure a guardare i fatti questa argomentazione non convince particolarmente. Provate a leggere e a mettere a confronto scritti moderni e antichi; troverete questi ultimi schifosamente retorici e gonfi, ma troverete anche che i primi sono estremamente più poveri non solo nella forma, ma anche nel contenuto.

Il fattore più importante della decadenza del linguaggio, a mio parere, non risiede nel linguaggio stesso, ma proviene dal suo esterno: non manca la complessità, ma essa  non viene allenata, perché non ce n’è la necessità; non è venuta meno la capacità di scrivere bene, è venuta meno la volontà di farlo. A nessuno interessa scrivere la lista della spesa in endecasillabi, quindi nessuno lo fa; nel proprio curriculum vitae sarebbe ridicolo inserire metafore e similitudini omeriche e dunque scegliamo di evitarlo;  in un’ultim’ora non importa usare la sinalefe e ne facciamo quindi a meno. Provate a leggere e troverete un’immensità di poesie che non sono altro che liste della spesa, saggi che sono poco più che curricula e romanzi che risultano del tutto identici ad una serie di notizie compresse fra loro collegate, il  tutto perché per lo più non vogliono esprimere nulla di più di ciò che fanno. Non è la lingua ad essere banale, sono i nostri pensieri che sono diventati sciapi e vuoti; la sintassi si semplifica e il lessico si riduce perché in realtà non abbiamo poi così tanto da dire.

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Samuele Baracani: nato nel 1991, biellese, ma non abbastanza, pendolare cronico, cresciuto nelle peggiori scuole che mi hanno avviato alla letteratura e, di lì, allo scrivere, che è uno dei miei modi preferiti per perdere tempo e farlo perdere a chi mi legge. Mi diletto nella prosa e nella poesia sull'esempio degli autori che più amo, da Tasso a David Foster Wallace. Su ispirazione chauceriana ho raccolto un paio di raccontini di bassa lega in un libro che ho intitolato Novelle Pendolari e, non contento, ho deciso di ripetere lo scempio con Fuga dai Faggi Silenziosi.

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