Siccome ritengo che il mondo non abbia ancora sentito boiate a sufficienza a riguardo della fantasia, ritengo di dover rincarare la dose finché questi discorsi non vengano a noia. Indi per cui a cavallo di un misero bastone di scopa e impugnando un ridicolo rametto a mo’ di spada, mi lancio nuovamente nella mia piccola personale crociata. Ora, sono più che convinto che il mondo in cui vivo sia un’epoca totalmente priva di immaginazione; siamo nell’era degli ingegneri e del pragmatismo, dove l’immaginazione è relegata a svago e evasione dai troppo freddi e duri ingranaggi. Ho già accennato alla possibilità conoscitiva che essa può essere, ed ora vorrei approfondire un poco su un aspetto particolare di questo.
Un amico vi viene a trovare. I suoi occhi sono tristi e guardano basso e, dopo qualche sospiro, inizia a raccontarvi la sua storia. Ora potete comportarvi in due modi: cercare una soluzione al suo problema, analizzandone attentamente tutti i fattori, oppure… oppure potreste starlo ad ascoltare, lasciarvi travolgere dalla sua tristezza, soffrire con lui, con lui piangere. Ovviamente la prima soluzione potrebbe essere la più funzionale e risolvere completamente il problema; eppure è molto meno umana della seconda e, se risolve il problema esterno, non risponde alla ragione per cui l’amico vostro è venuto da voi, ovvero di essere ascoltato, compreso, amato. La seconda invece non risolve il problema, eppure risponde maggiormente all’uomo che è in chi dà attenzione e in chi la riceve; la seconda crea insomma una più profonda relazione. Ora, cosa c’entra la fantasia con tutto questo? Senza fantasia non sarebbe possibile l’immedesimazione, che è semplicemente una fantasia passiva. Mi sono sempre trovato meglio a parlare con persone dotate di una grande immaginazione che senza, in particolare quando si trattava di problemi, perché mi era molto più facile farmi capire ed essere capito. La fantasia non analizza semplicemente le situazioni, ma ci entra dentro, le vive e le soffre se sono tristi, così come le gode se sono gioiose. Non serve forse a qualcosa di più dell’avere la soluzione in tasca?
Samuele Baracani: nato nel 1991, biellese, ma non abbastanza, pendolare cronico, cresciuto nelle peggiori scuole che mi hanno avviato alla letteratura e, di lì, allo scrivere, che è uno dei miei modi preferiti per perdere tempo e farlo perdere a chi mi legge. Mi diletto nella prosa e nella poesia sull'esempio degli autori che più amo, da Tasso a David Foster Wallace. Su ispirazione chauceriana ho raccolto un paio di raccontini di bassa lega in un libro che ho intitolato Novelle Pendolari e, non contento, ho deciso di ripetere lo scempio con Fuga dai Faggi Silenziosi.