Appesi a un filo d’erba | mienmiuaif & bra
“Ordinarie follie” di Edoardo Dantonia
Un mio amico una volta mi ha detto, parlando di una serie d’incontri sulla “Commedia” di Dante a cui partecipavamo: “Una o due volte non significano niente, ma tre volte è tradizione. Anche se non dovessimo continuare oltre”. Dopo la terza volta, come se la sua fosse una profezia, io non riuscii più a partecipare. Il mio profetico amico mi ha dato comunque lo spunto per scrivere la terza puntata della rubrica “Ordinarie follie”. Questa, infatti, è la terza volta che le mie sciocche parole appaiono su un blog invece piuttosto serio (non serioso), e siccome credo fermamente che tre volte segnino davvero una tradizione, mi sento in dovere di giustificare il titolo della rubrica stessa. Cosa sono, infatti, le ordinarie follie? I più, ripensando al film “Un Giorno di Ordinaria Follia”, potranno portare alla mente eventi assurdi calati nella quotidianità. Io parlo invece di eventi quotidiani calati nell’assurdità. Un anziano prete che cammina, passetto dopo passetto, verso casa non è quello che chiunque definirebbe un evento folle. Sarebbe folle, per la maggior parte della gente, se quel prete si mettesse all’improvviso a far capriole in aria. Io invece trovo assai più interessante il suo lento ma continuo incedere, nonostante l’età; la sua grinta nel parlare pane al pane e vino al vino; la sua inesauribile energia, cosa piuttosto rara persino nei miei coetanei. Il fatto che molte persone trovino banale quello che passa sotto i loro occhi ogni giorno non significa che le cose quotidiane siano effettivamente banali. È molto più probabile che siano queste persone a banalizzare il mondo. Chesterton diceva che “non esistono cose poco interessanti, ma solo persone poco interessate”. Vale a dire che la colpa, se di colpa si può parlare, non è del mondo che ci circonda, ma bensì della gente che lo popola e non si accorge della meraviglia che sta in esso. Un trucco piuttosto riuscito e divertente è quello che usava proprio l’autore inglese. Egli immaginava di essere scampato ad un naufragio, come Robinson Crusoe, e che gli oggetti intorno a lui fossero i resti della nave riportati a riva dalla marea. Così un tavolino di legno, o un opuscolo di qualche supermercato, o una maglia di cattivo gusto diventavano un tesoro preziosissimo. Il fatto ancora più sconcertante e folle, però, è che questo non è un semplice esercizio di immaginazione, ma piuttosto un esercizio di onestà. Tutti noi infatti siamo come tanti naufraghi scampati al mare del nulla. Forse sarebbe meglio dire che siamo tratti dal nulla, in effetti. In ogni caso ognuno di noi avrebbe potuto tranquillamente non esistere (chi ci garantisce il contrario?). E invece siamo qui, esistiamo, e il mondo esiste intorno a noi. Così il tavolino di legno si tramuta in un altare a cui rendere grazie, l’opuscolo del supermercato in un libro di inni e quella brutta maglia in una sgargiante veste sacra. Così un evento apparentemente ordinario e insignificante, se visto con gli occhi di un naufrago, si fa carico di una regalità inaspettata. Così una persona normalissima diviene, in quell’istante, il centro della nostra vita. Nel magnifico “Interstellar”, Matt Damon nei panni del Dottor Mann, una specie di naufrago spaziale (questa volta però volontario), scoppia in lacrime alla vista degli esploratori che lo ritrovano dopo dieci anni di solitudine. Se solo noi pensassimo alla precarietà della vita, dell’esistenza stessa, che come un quadro capovolto sta sospesa sull’abisso del nulla, anche noi scoppieremmo in lacrime alla vista del curvo panettiere che inforna il pane la mattina presto, o anche soltanto osservando l’incredibile mistero che sta dietro ad un prato verde, domandandoci di quale altro colore avrebbe potuto essere e meravigliandoci al pensiero che invece è proprio verde. Per cui è proprio questo che io voglio raccontare nelle mie ordinarie follie: fatti quotidiani, eventi assolutamente banali in cui sta tutta la straordinarietà di una realtà sospesa sul niente. Questo perché sono assolutamente convinto che, come diceva il mio amico Gilbert, è colpa delle persone annoiate se il mondo risulta noioso. È colpa di chi non è abbastanza onesto da non rendersi conto, quando si stende su un prato a guardare il cielo, di stare appeso per la schiena a tanti sottili fili d’erba.
Edoardo Dantonia: classe 1992, sono il più giovane e il più indegno di questo terzetto di spostati che si fa chiamare Schegge Riunite. Raccontavo storie ancor prima di saper scrivere, quando cioè imbastivo veri e propri spettacoli con i miei pupazzi, o quando disegnavo strisce simili a fumetti su innumerevoli fogli di carta. Amante della letteratura, in particolare quella fantastica e fantascientifica, il mio sogno è anche la mia più grande paura: fare della scrittura, cioè la mia passione, il mio mestiere.