Ho già parlato di quello che penso di una certa agiografia, ma mi rendo conto di aver dimenticato qualcosa. Il problema dell’agiografia non è che ci descrive delle virtù fredde e lontane o che idealizza gli uomini; esisteranno ed esistono per certo alcuni più abili, più decisi e più forti nell’esercitarle. Il problema dell’agiografia è che principalmente si dimentica di tutte le cose importanti della vita.
Quando camminate per strada nessuno additerà voi, né voi additerete nessuno, come chiare esempio di pazienza o di carità (la castità, come è noto, non è virtù di cui vantarsi oggi); piuttosto vi riconosceranno come il figlio del falegname. Ora, già ai tempi di Cristo la gente si aspettava da santi e profeti degli atti, delle capacità, un portamento straordinari. L’Antico Testamento almeno di alcuni non aveva certo nascosto le debolezza, ma il sentimento popolare, o forse il sentimento dei benpensanti, li aveva idealizzati; eppure il non meno popolare giudizio aveva amato quelli che erano descritti come pieni di difetti e cadute, o per lo meno di piccoli gesti umani; Davide e Salomone saranno sempre più cari di un Elia, semplicemente perché le loro azioni sono raccontate non escludendone i particolari meschini e quotidiani.
La moderna agiografia, con tutti i suoi racconti straordinari di virtù, ci annoia e ci costringe a dimenticare che i santi sono attorno a noi, rivestiti dei panni dell’operaio ignorante e dello spocchioso studentino; ci fa indignare per una brutta parola, per una scortesia, per una mancanza di attenzione di cui per certo anche i più perfetti si sono macchiati. Quello che serve ad ogni racconto è la verità dell’uomo, piccolo e limitato com’è, perché la santità non è uno sforzo, ma un abbraccio di Dio cui esso non si è sottratto.
Questo abbraccio non lo ha privato certo del suo limite: sono pronto a scommettere che anche i più grandi sono stati tentati di bestemmiare quando hanno sbattuto il mignolo sullo spigolo e sono abbastanza certo del fatto che più di uno di loro abbia dimenticato almeno una volta le preghiere della sera; sono altrettanto portato a credere che in molti abbiano ceduto alla gola, fra un digiuno e l’altro, e che diversi siano andati a letto con la moglie, non sempre con le migliori intenzioni, a meno che non avessero cortesemente richiesto al loro vicino di svolgere per loro questa mansione. Sono certo insomma che fossero umani proprio come me e come me peccatori e non solo nelle cose più piccole; ed in fondo è per questo che posso amare gli amici di Dio.
Samuele Baracani: nato nel 1991, biellese, ma non abbastanza, pendolare cronico, cresciuto nelle peggiori scuole che mi hanno avviato alla letteratura e, di lì, allo scrivere, che è uno dei miei modi preferiti per perdere tempo e farlo perdere a chi mi legge. Mi diletto nella prosa e nella poesia sull'esempio degli autori che più amo, da Tasso a David Foster Wallace. Su ispirazione chauceriana ho raccolto un paio di raccontini di bassa lega in un libro che ho intitolato Novelle Pendolari e, non contento, ho deciso di ripetere lo scempio con Fuga dai Faggi Silenziosi.