Duello in casa Chesterton | mienmiuaif & bra
“Ordinarie follie” di Edoardo Dantonia
Io posso dire, senza timore che alcuno possa smentirmi, di aver duellato nella casa di Gilbert Keith Chesterton. Ho persino una cicatrice a testimonianza dell’evento. Se qualcuno fosse così puntiglioso da approfondire la mia affermazione, scoprirebbe che il fatto non avvenne propriamente a Beaconsfield, né tanto meno si svolse più di tre anni fa. Scavando ancora più a fondo, i più pignoli verrebbero a sapere che la casa in questione era una semplice riproduzione, presso l’annuale Meeting di Rimini, del luogo dove l’autore inglese si dilettava a bere birra e dibattere con gli amici di sempre, e che io non sono sicuramente uno spadaccino come lo era lui, il quale amava praticare la scherma infilzando i cuscini delle sue poltrone.
Quello che avvenne, per non tergiversare oltre, fu un tentativo, da parte mia e di un amico, di intrattenere l’ennesimo gruppo in visita all’abitazione per rimediare alle bocche impastate da una settimana passata a trovare nuovi modi di raccontare il padrone di casa (confesso di aver detto un sacco di castronerie a quel tempo, ma tutte in assoluta buona fede). Il tentativo fu abbastanza riuscito, poiché lo spettacolo di due giovani guide che staccano dal muro delle spade a una mano e mezza per incrociarle dovette sembrare alquanto insolito agli occhi del centinaio di persone che si aspettavano invece una lenta e tranquilla spiegazione. Non meno stupefacente fu l’esito dello scontro, che vide il sottoscritto, inesperto di qualsivoglia arma bianca, gocciolare sangue dalla mano destra, la quale passò in seguito sotto i ferri per il piccolo inconveniente di un tendine reciso. A chi mi chiederà: “Cosa diamine ci facevano delle spade appese al muro della casa di un gentiluomo inglese di un secolo fa?”, non posso che ricordare prima di tutto la sua abitudine a tirare di scherma, di conseguenza una spada appesa nel salotto di casa non doveva essere più insolita di una poltrona di velluto o un tavolino di legno. In secondo luogo quelle spade simboleggiavano proprio la filosofia di Chesterton, il quale passò la sua vita a duellare. Egli dedicò l’intera esistenza a combattere contro i mali che affliggevano e che affliggono tutt’ora il mondo, e non ebbe mai alcun timore di essere, come diremmo noi moderni, politicamente scorretto. Urge ribadire questo aspetto della sua filosofia poiché siamo in tempi in cui andare contro qualcuno o qualcosa è considerato inadeguato, perfino immorale. Il solo parlare di “andare contro” è vista come una bestemmia nella bocca di pochi facinorosi. C’è chi vorrebbe fondare tutta la sua apologetica esclusivamente sull’accoglienza, senza considerare il fatto che nell’atto stesso di accogliere è implicito il rifiuto di qualcos’altro. Quando scelgo di far entrare nella mia vita una donna, rifiuto tutte le altre donne del mondo; quando scelgo un dolce al ristorante, rifiuto ogni altro dolce presente nel menù. Non è possibile prendere una posizione senza andare contro qualcuno. Per fare un esempio papabile, l’uomo che vuole difendere la propria famiglia da un aggressore dovrà per forza andare contro quest’ultimo. Gli uomini che rigettano l’idea di andare contro l’aggressore applicano proprio questo principio di accoglienza, senza rendersi conto che se accolgono uno devono andare contro l’altro; è una conseguenza inevitabile. Essi, a mio avviso, sono di due tipi. Ci sono coloro i quali si illudono che il malfattore faccia dietrofront davanti a un’arma abbassata: questi sono degli sciocchi irresponsabili che vanno contro la famiglia in favore dell’aggressore. Poi ci sono quelli che semplicemente hanno paura: essi sono dei codardi che vanno contro la famiglia in favore di sé stessi solamente.
Ogni uomo, che gli piaccia o no, ha delle armi: si tratta soltanto di scegliere l’avversario. Si tratta di scegliere, in un certo senso, se rivolgere le armi contro la propria famiglia o contro chi la vuole annientare.
Edoardo Dantonia: classe 1992, sono il più giovane e il più indegno di questo terzetto di spostati che si fa chiamare Schegge Riunite. Raccontavo storie ancor prima di saper scrivere, quando cioè imbastivo veri e propri spettacoli con i miei pupazzi, o quando disegnavo strisce simili a fumetti su innumerevoli fogli di carta. Amante della letteratura, in particolare quella fantastica e fantascientifica, il mio sogno è anche la mia più grande paura: fare della scrittura, cioè la mia passione, il mio mestiere.