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Aztechi e strade strette

“Ordinarie follie” di Edoardo Dantonia Ho già accennato al fatto che nella mia auto avvengono cose piuttosto strane. In essa io canto, prego, parlo al telefono (ahi!), fumo. Al liceo ripassavo persino, mentre sfrecciavo nel traffico per non arrivare in ritardo. Ricordo il libro di letteratura italiana aperto sul sedile del passeggero, con alcune sottolineature […]

“Ordinarie follie” di Edoardo Dantonia

 

Ho già accennato al fatto che nella mia auto avvengono cose piuttosto strane. In essa io canto, prego, parlo al telefono (ahi!), fumo. Al liceo ripassavo persino, mentre sfrecciavo nel traffico per non arrivare in ritardo. Ricordo il libro di letteratura italiana aperto sul sedile del passeggero, con alcune sottolineature chiave volte a facilitarmi il ripasso, e le interrogazioni al cardiopalma, affrontate con alle spalle appena poche ore di studio. Ma non è questo quello di cui volevo parlare ora. Quello che volevo dire è che, appunto, in auto combino un sacco di follie, accanto alle quali la mia mente galoppa. A dire il vero, la mia mente è sempre e costantemente attiva anche al di fuori dell’abitacolo della mia FIAT Punto. Ma è al suo interno che elaboro più spesso teorie e pensieri. Uno, in particolare, mi ha colto mentre mi recavo a lavoro e percorrevo la solita via Cernaia, a Biella. Mentre guidavo sul tratto cubettato, mi sono accorto di quanto la linea di mezzeria non fosse affatto di mezzeria. La linea che dovrebbe dividere la carreggiata esattamente a metà, non si trova per niente a metà, lasciando a chi percorre uno dei due sensi solamente un terzo dello spazio totale. Proprio notando questa cosa, ho fatto una delle mie solite deduzioni, e cioè che se si dovesse seguire pedestremente il codice stradale, si dovrebbe lasciare a una delle due colonne di auto ben poco spazio per circolare. Esse si troverebbero cioè schiacciate contro un muro di pietra. Per fortuna gli automobilisti biellesi, seppure abbastanza incerti nel guidare, hanno imparato ad usare il buon senso, percorrendo quella strada senza curarsi di quella linea mal posta. Non avviene però lo stesso in altri ambiti, dove invece ci si aggrappa a norme e regole quasi fossero leggi immutabili e infallibili, anche quando queste vanno a discapito dell’uomo, cioè colui per il quale queste regole dovrebbero esistere. Non sto criticando le regole in sé, né voglio proporre una visione anarchica della vita. Voglio semplicemente porre l’accento su un fatto: non tutto quello che è legale è giusto. Non tutto quello che è legale è morale. Bisogna infatti ricordare che la schiavitù, in tempi antichi, era perfettamente legale, se posso usare questo aggettivo improprio. Bisogna portare alla mente come in epoche passate cose oggettivamente abominevoli erano assolutamente normali, o come in culture estranee alla nostra si facciano cose tremende da ogni punto di vista (tranne il loro). Era normale per gli aztechi praticare sacrifici umani. È normale presso certi popoli africani praticare l’infibulazione alle giovani donne. Se usiamo la legalità come metro della moralità, non possiamo che divenire dei selvaggi. Paradossalmente, più ci si affida alle leggi, e più ci si inselvatichisce. Applicare le leggi ad ogni costo, a volte, può portare a una totale barbarie, così come applicare il codice stradale ad ogni costo può, nel mio esempio, portare a un clamoroso incidente.

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Edoardo Dantonia: classe 1992, sono il più giovane e il più indegno di questo terzetto di spostati che si fa chiamare Schegge Riunite. Raccontavo storie ancor prima di saper scrivere, quando cioè imbastivo veri e propri spettacoli con i miei pupazzi, o quando disegnavo strisce simili a fumetti su innumerevoli fogli di carta. Amante della letteratura, in particolare quella fantastica e fantascientifica, il mio sogno è anche la mia più grande paura: fare della scrittura, cioè la mia passione, il mio mestiere.

Schegge Riunite