Un dogma che va piuttosto di moda oggigiorno è che per rispettare e stimare qualcuno sia necessario essergli amico, o peggio andarci d’accordo. Il nemico, l’avversario è visto come una specie di strana entità, distante anni luce nel pensiero e nel corpo; di conseguenza è impossibile, secondo le ultime tendenze mondane, lodare uno che non faccia parte della nostra cerchia di compagni. Siamo tutti stretti nei nostri recinti, ciechi di fronte a chiunque altro che non corrisponda a certi rigidi standard (nonostante siamo soliti millantare aperture di testa che solo un’ascia bipenne potrebbe eguagliare).
Da questa errata convinzione deriva uno dei più grandi falsi storici, cioè il famoso incontro tra San Francesco (santo che già nella sua figura è vittima di fraintendimenti quasi al pari del Suo e Nostro modello) e il sultano Malik al-Kamil, fatto passare per una piacevole chiacchierata tra due saggi, un dialogo ecumenico ante litteram in cui il poverello di Assisi avrebbe predicato la pace e condannato le violenze dei crociati. Le fonti duecentesche della vita del santo non recano traccia di tutto questo miele tra i due uomini, che pur si parlarono con grande rispetto l’un per l’altro, ma riportano bensì una grande “sete di martirio” da parte dell’assisiate. Francesco non tentò per ben tre volte, nell’arco di nove anni, di giungere in territorio nemico per far incontrare Vangelo e Corano in un patetico girotondo color arcobaleno. San Bonaventura da Bagnoregio, biografo di Francesco, scrive che quest’ultimo predicò “la verità di Dio uno e trino e di Gesù Salvatore di tutti con tanta fermezza e tanto fervore di spirito”, e all’obiezione del sultano che il Vangelo non predicava la violenza di cui s’erano macchiati i combattenti cristiani, egli rispose che allo stesso modo le parole del Cristo invitano a gettare lontano da noi l’occhio che ci dà scandalo, per cui era del tutto lecito che i cristiani avessero preso le armi contro chi bestemmia il Signore e aggredisce il Suo popolo. “Vedendo, inoltre, che non faceva progressi nella conversione di quella gente e che non poteva realizzare il suo sogno, preammonito da una rivelazione divina, ritornò nei paesi cristiani”, dice Bonaventura per concludere il resoconto di quell’incontro.
Edoardo Dantonia: classe 1992, sono il più giovane e il più indegno di questo terzetto di spostati che si fa chiamare Schegge Riunite. Raccontavo storie ancor prima di saper scrivere, quando cioè imbastivo veri e propri spettacoli con i miei pupazzi, o quando disegnavo strisce simili a fumetti su innumerevoli fogli di carta. Amante della letteratura, in particolare quella fantastica e fantascientifica, il mio sogno è anche la mia più grande paura: fare della scrittura, cioè la mia passione, il mio mestiere.