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L’esperienza (letteraria) del mito #2: Il Grande Miracolo del Mito che diventa realtà

Nel quinto paragrafo di questo capitolo abbiamo illustrato le varie caratteristiche dell’esposizione all’esperienza del mito e a questo scopo abbiamo insistito sulla sua proprietà generale, quella che abbiamo chiamato con Lewis la “qualità mitica” del mito. Abbiamo mostrato come essa consista in un una narrazione immaginaria (chiamata più propriamente fantastica, cioè prodotta dall’immaginazione creativa del narratore) di un mondo inventato e popolato dal suo autore che viene immaginativamente attraversato dal lettore, il quale, alla fine di un simile viaggio, ne esce arricchito e addirittura profondamente cambiato.

In un saggio pubblicato per la prima volta nel 1944 e intitolato Myth Became Fact, Lewis individua una analogia tra l’Avvenimento cristiano e la sopracitata qualità mitica, tra il mito e l’Incarnazione-morte-risurrezione di Cristo.

Se in An Experiment in Criticism Lewis non si riferisce al significato sacrale o religioso né a quello antropologico, in Myth Became Fact avviene una maggior sottolineatura – seppur ancora piuttosto marginale – di questi aspetti con l’intenzione di contrapporsi alle derive teologiche legate alla demitizzazione del cristianesimo, a quelle teorie per cui tutta la realtà dei miracoli compiuti da Cristo nel miracolo della realtà di Cristo stesso come vero Dio e vero uomo, altro non sarebbe che un inutile raccontino di favola a cui il cristianesimo moderno dovrebbe rinunciare[1].

La difesa dell’essenzialità di quelle che vengono definite con disprezzo dal suo antagonista immaginario Corineus come mere «vestigia mitologiche»[2] – per cui il cristianesimo sarebbe come tutti gli altri miti e leggende un racconto ricco di simboli, ricco di allegorie, ma in fondo falso e menzognero –, parte proprio dal paradossale e apparentemente contraddittorio accostamento di somiglianza del cristianesimo ai tanti e variegati racconti mitologici[3].

Abbiamo visto precedentemente che la narrazione mitica trascende ogni tentativo di esaustione da parte del pensiero astrattivo[4]. Essendo il suo significato analogico a qualcosa di sostanzialmente concreto come il sapore del cibo o la melodia della musica, esso sfugge alle maglie strette del concetto.

Allo stesso modo, analogicamente, Lewis afferma che il cristianesimo è «perfetto mito»[5] in quanto anch’esso è una narrazione come gli altri miti, avente anch’essa la medesima «qualità mitica»[6].

A questo punto però l’analogia viene svelata in pienezza e Lewis, che ha mostrato solo il polo positivo dell’analogia, la somiglianza, espone ora il polo negativo, la sempre maggior dissomiglianza rispetto al mito: «l’Incarnazione trascende il mito»[7] poiché il cristianesimo è soprattutto «perfetto evento»[8], in quanto, a differenza del normale mito, è realmente accaduto[9].

Come abbiamo già mostrato nel quinto paragrafo di questo capitolo, il mito ha un significato concreto in senso analogico in quanto il concreto che viene significato è raccontato attraverso e alla fine coincide con una finzione narrativa e immaginativa. Per quanto riguarda il cristianesimo invece, esso ha significato concreto in senso letterale e non semplicemente analogico. Si tratta di una realtà e non di un racconto immaginario.

Lewis scrisse ad Arthur Greeves nei giorni successivi alla cena con Tolkien e Dyson: il cristianesimo è «il mito di Dio dove gli altri sono miti degli uomini: le storie pagane sono Dio che esprime sé stesso attraverso le menti dei poeti, usando le immagini che Lui vi trova, mentre il Cristianesimo è Dio che esprime Sé stesso attraverso quello che noi chiamiamo “realtà”. È vero […] nel senso che esso è la via che Dio ha scelto per manifestarsi alle nostre facoltà. Le dottrine che traiamo dal vero mito sono concetti e idee di ciò che Dio ha realmente espresso in un linguaggio più adeguato, vale a dire la reale incarnazione, crocifissione e risurrezione»[10].

Il cristianesimo non è quindi semplicemente annoverabile come uno dei miti, delle leggende e delle storie dell’umanità, come se fosse uno disponibile tra i tanti[11]: «Dio è molto di più di un dio, non meno; Cristo è molto di più di Balder, non meno» perché l’avvenimento di Dio che si fa uomo in Cristo è «l’unico, vero e veridico»[12].

Mostrati entrambi i poli di questa analogia, Lewis si mostra ardito nel giocare con il termine myth e nel portare il suo paragone fino ad una metaforica identificazione tra i due poli: il cristianesimo è «perfetto Mito e perfetto Evento»[13], ovvero «Il cuore del cristianesimo è un mito che è anche un fatto, una realtà. L’antico mito del Dio che muore, senza cessare di essere mito, scende dal cielo della leggenda e dell’immaginazione, sulla terra della storia. Esso accade – in una particolare data, in un particolare luogo, seguito da conseguenze storiche delineabili. Passiamo da un Balder o da un Osiride che muore nessuno sa né dove né quando, a una Persona reale, storica, crocifissa sotto Ponzio Pilato. Diventando fatto non cessa di essere mito: questo è il miracolo […]. Se Dio ha scelto di essere mitopoietico […] possiamo forse noi rifiutarci di essere mitopatici?»[14].

Rimanendo all’interno del linguaggio metaforico e analogico utilizzato fin qui da Lewis è possibile dunque affermare assieme a lui che il cristianesimo è «perfetto Mito e perfetto Evento»[15]. Esso è indirizzato e pronto per essere accolto tanto dal bambino e dal povero, quanto dal filosofo e dal governante, e da ogni uomo che sta in mezzo a questi due estremi, ogni più piccolo uomo[16].

Il racconto cristiano è quindi considerabile alla stregua di un mito «che lavora su di noi allo stesso modo degli altri, ma con la tremenda differenza che è realmente accaduto»[17].

Abbiamo visto che la già citata qualità mitica lascia intatta l’ontologia dell’opera letteraria anche dopo innumerevoli interpretazioni, in quanto la realtà e il significato dell’opera eccedono l’interpretazione giungendo al fruitore ogni volta nuovi ad ogni nuova immedesimazione, così – anche se in maniera infinitamente differente – l’evento cristiano in quanto perfetto mito e perfetto evento non sarà mai compreso a sufficienza a causa dell’infinitezza della realtà della persona di Cristo.

Inoltre, se la qualità mitica del mito letterario è inesauribile ma l’esposizione ad essa avviene attraverso una immedesimazione per via esclusivamente immaginativa (ma non per ciò irreale), infinitamente di più l’evento cristiano del vero Dio che si fa vero uomo, che realmente muore, che realmente risorge e che realmente è presente, sarà realmente inesauribile poiché reale e sarà realmente e illimitatamente inesauribile poiché la realtà a cui si è esposti nel mito cristiano è l’incontro con l’unico reale Dio.

Se nel saggio appena illustrato The Myth Became Fact, Lewis si azzardava ad accostare il cristianesimo alle leggende e ai miti della letteratura con cui condivide una analoga qualità mitica per mostrare poi come esso sia in un certo senso considerabile la vera e unica leggenda e il vero e unico mito in quanto, a differenza degli altri, realmente accaduto, in un altro saggio, pubblicato postumo nel 1981 e intitolato Fern-Seed and Elephants[18], Lewis sottolinea con forza l’unicità storica dell’evento cristiano e affronta la deriva teologica bultmanniana della demitizzazione del cristianesimo criticando aspramente il metodo utilizzato da Bultmann[19]. Quest’ultimo saggio originariamente intitolato Modern Theology and Biblical Criticism e letto da Lewis al Westcott House Theological College nel maggio del 1959 non entra nel merito della questione teologica, ma fonda la sua critica sul tipo di approccio letterario al testo biblico.

Leggendo i Vangeli ci troviamo di fronte alla narrazione di episodi specifici come il dialogo con la samaritana al pozzo, quello con il cieco nato, l’incontro con l’adultera (qui Lewis ricorda «Gesù […] che fa dei segni con le dita sulla sabbia»[20]), talmente specifici che possiamo offrire solo due interpretazioni: o sono un resoconto molto fedele dei fatti avvenuti, oppure una «anticipazione clamorosa, da parte di uno sconosciuto scrittore del secondo secolo, senza predecessori o seguaci conosciuti, della tecnica narrativa delle novelle realistiche moderne […]. Il lettore che non coglie questo aspetto, semplicemente non ha imparato a leggere»[21].

L’accusa che rivolge a Bultmann è innanzitutto proprio quella di mancare di criticità letteraria per non arrivare a comprendere come i Vangeli costituirebbero dal punto di vista dello stile un caso letterario unico, senza predecessori né successori, di per sé impossibile nella storia della letteratura[22]. Bultmann avrebbe passato così tanti anni a studiare «tra le righe dei testi»[23] biblici che ha perso la capacità di leggere le righe stesse[24] fino ad arrivare all’affermazione della non importanza e dell’impossibilità di ritrovare un “ritratto” della personalità di Gesù nel Vangelo di Giovanni o nella predicazione di Paolo[25]. Per Bultmann tale ritratto non sarebbe altro che un gioco dell’immaginazione soggettiva, mentre invece Lewis fa notare che moltissimi passi del Nuovo Testamento – tra cui quelli citati – hanno un sapore così forte che continuamente «ci riportano faccia a faccia con la sua personalità»[26].

Tutta la teologia liberale infatti vorrebbe evitare o far scomparire l’evidenza del «contatto personale»[27] con il Signore, con la Sua reale incarnazione, missione, morte e risurrezione, cercando di attribuire tutto ciò a «“un significato che la Chiesa primitiva doveva attribuire al Maestro”»[28], un significato esclusivamente simbolico della sua reale persona divina e dei suoi miracoli che la moderna teologia avrebbe la pretesa di poter recuperare[29].

In un altro saggio intitolato The Great Miracle – pubblicato per la prima volta nel 1945 sul The Guardian, poi integrato come capitolo di centrale importanza all’interno dell’opera Miracles pubblicata nel 1947 –, Lewis fa notare che la riduzione del cristianesimo a una mera religione ricca di simbolismi è non solo il frutto di una grande ignoranza circa le altre religioni, miti e leggende, ma anche di una ignoranza storico-culturale relativa al popolo ebraico[30].

Il principale miracolo che i cristiani proclamano è l’Incarnazione: «i cristiani dicono che Dio è diventato Uomo»[31]. Per i cristiani questo miracolo significa che Dio «è sceso dalle altezze dell’essere assoluto nel tempo e nello spazio, giù fino all’umanità»[32] e che «scende per risalire e portare con Sé l’intero mondo in rovina»[33]. Questo movimento di discesa e risalita, di morte e rinascita è simile a quello compiuto dalle divinità classiche come, per esempio, Bacco, Adone e Osiride (come Cristo muoiono e ritornano in vita), ed è comune anche alle dinamiche naturali come il dramma autunnale «della morte e rinascita annuale del grano»[34] (Cristo sarebbe come il grano, una sorta di «Re grano»[35]) da cui le divinità sono state derivate attraverso l’immaginazione umana[36].

La somiglianza, però, a questo punto si interrompe.

I cristiani infatti non sostengono semplicemente che Dio si fece carne in Gesù, ma dichiarano che «l’unico vero Dio è Colui che Gesù venerava come Jahveh, e che è questo Dio a essere disceso»[37] in Gesù Cristo: Gesù e il Padre sono una cosa sola[38]. Adone, Bacco, Osiride, Venere e Cerere altro non sono che dei naturali, sono parti della natura, non i suoi creatori. Il Dio che si fece carne in Cristo invece è il Dio creatore della Natura: Egli «è il suo inventore, creatore, proprietario e controllore»[39]. In confronto a Lui tutti gli altri dei non sono altro che «trasposizioni in chiave minore del tema Divino»[40].

Lewis critica anche la credenza per cui la religione del «Dio che muore»[41] si sarebbe sviluppata all’interno del popolo ebraico. Ma perché – si chiede Lewis – si sarebbe dovuta sviluppare proprio «fra quelle persone, e solo fra quelle persone, alle quali era estraneo l’intero complesso d’idee appartenenti alla figura tradizionale del “Dio che muore”»[42] e che risuscita?

Il popolo ebraico è sempre stato allontanato, lungo tutto l’arco della sua storia, dall’adorazione di qualsiasi divinità naturale perché con il loro Dio esse condividevano solo una somiglianza effimera, mentre il loro Dio era il Signore del cielo e della terra[43].

Le somiglianze ravvisate andrebbero dunque ribaltate: Cristo è paragonabile al «Re grano perché quest’ultimo è una sua raffigurazione»[44]; Cristo è paragonabile agli dei dell’antica mitologia perché questi ultimi sono una sua prefigurazione simbolica e profetica.

Al contrario di tutte le altre religioni, il cristianesimo non è una religione umana, non è la ricerca di Dio da parte dell’uomo, ma la ricerca dell’uomo da parte di Dio[45].

Con la scelta di Abramo e il dono di una discendenza numerosa come le stelle nel cielo Dio costituì il Suo popolo per dargli la conoscenza di Sé come vero Dio e affinché fossero benedette tutte le nazioni della terra[46].

Nuovamente Dio scelse tra tutto il Suo popolo «un unico punto brillante […] [,] una ragazza ebrea»[47].  Il Figlio di quella «Donna prescelta»[48] è il Dio incarnato, l’unico uomo che può essere adorato come Dio in quanto Dio[49].

Riprendendo Fern-Seed and Elephants, Lewis giunge infine ad affermare l’effettiva inadeguatezza del nostro pensiero nei confronti della dottrina cristiana circa la morte, risurrezione, ascensione e seconda venuta di Cristo, ma non perché essa sia storicamente falsa e da cogliere solo simbolicamente[50]. Essa è l’espressione non del nostro pensiero, ma di quello di Dio, la cui oggettività trascende la nostra comprensione limitata ed esclusivamente analogica e traspositiva. Infatti se attraverso questa comprensione analogica e traspositiva – a partire dalla nostra esperienza di uomini e di cristiani – possiamo tentare di comprendere la vita divina («l’unione di Dio con Dio»[51]), il suo rapporto con l’uomo e il rapporto dell’uomo «con il Dio fatto uomo»[52] trovandoci di fronte a «somiglianze insospettabili»[53], ci troveremo però sempre e ogni volta di fronte a «differenze inimmaginabili»[54].

[1] Cfr. CSLEC, “The Myth Became Fact”, Kindle Edition, pos. 2611-2622.

[2] CSLEC, “The Myth Became Fact”, Kindle Edition, pos. 2626.

[3] Cfr. CSLEC, “The Myth Became Fact”, Kindle Edition, pos. 2610.

[4] Cfr. EIC, pp.66-67.

[5] CSLEC, “The Myth Became Fact”, Kindle Edition, pos. 2688.

[6] CSLEC, “The Myth Became Fact”, Kindle Edition, pos. 2666.

[7] CSLEC, “The Myth Became Fact”, Kindle Edition, pos. 2688.

[8] CSLEC, “The Myth Became Fact”, Kindle Edition, pos. 2688.

[9] Cfr. CSLEC, “The Myth Became Fact”, Kindle Edition, pos. 2682.

[10] CLI, p.977.

[11] Cfr. CSLEC, “The Myth Became Fact”, Kindle Edition, pos. 2682.

[12] SBJ, p.235.

[13] CSLEC, “The Myth Became Fact”, Kindle Edition, pos. 2688.

[14] CSLEC, “The Myth Became Fact”, Kindle Edition, pos. 2684-2688.

[15] Cfr. CSLEC, “The Myth Became Fact”, Kindle Edition, pos. 2688.

[16] CSLEC, “The Myth Became Fact”, Kindle Edition, pos. 2688.

[17] CLI, p.977.

[18] CSLEC, “Fern-Seed and Elephants”, Kindle Edition, pos. 4613.

[19] CSLEC, “Fern-Seed and Elephants”, Kindle Edition, pos. 4565.

[20] CSLEC, “Fern-Seed and Elephants”, Kindle Edition, pos. 4597.

[21] CSLEC, “Fern-Seed and Elephants”, Kindle Edition, pos. 4597.

[22] CSLEC, “Fern-Seed and Elephants”, Kindle Edition, pos. 4597.

[23] CSLEC, “Fern-Seed and Elephants”, Kindle Edition, pos. 4639.

[24] Cfr. CSLEC, “Fern-Seed and Elephants”, Kindle Edition, pos. 4639.

[25] Cfr. CSLEC, “Fern-Seed and Elephants”, Kindle Edition, pos. 4614.

[26] CSLEC, “Fern-Seed and Elephants”, Kindle Edition, pos. 4628.

[27] CSLEC, “Fern-Seed and Elephants”, Kindle Edition, pos. 4633.

[28] Cfr. CSLEC, “Fern-Seed and Elephants”, Kindle Edition, pos. 4633.

[29] Cfr. CSLEC, “Fern-Seed and Elephants”, Kindle Edition, pos. 4641.

[30] Cfr. M, p.181.

[31] M, p.173.

[32] M, p.178.

[33] M, p.178.

[34] M, p.181.

[35] M, p.186.

[36] Cfr. M, pp.183-186

[37] M, p.184.

[38] Cfr. Gv 10, 30.

[39] M, p.186.

[40] M, p.181.

[41] M, p.182.

[42] M, p.182.

[43] M, p.187.

[44] M, p.186.

[45] M, p.187.

[46] M, pp.187-190.

[47] M, p.187.

[48] M, p.190.

[49] Cfr. M, p.190.

[50] Cfr. CSLEC, “Fern-Seed and Elephants”, Kindle Edition, pos. 4633.

[51] CSLEC, “Fern-Seed and Elephants”, Kindle Edition, pos. 4788.

[52] CSLEC, “Fern-Seed and Elephants”, Kindle Edition, pos. 4788.

[53] CSLEC, “Fern-Seed and Elephants”, Kindle Edition, pos. 4788.

[54] Cfr. CSLEC, “Fern-Seed and Elephants”, Kindle Edition, pos. 4633.

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Francesco Tosi: 1986 Rimini, avevo così voglia di vivere che sono nato prima di nascere (al quinto mese), poi ho continuato a nascere e rinascere nel corso della mia vita, in spirito, acqua e sangue.
Filosofo per forma mentis e formazione, letterato e Teo-filo per passione, editore digitale per professione, fanno di me un cultore del verbo e servitore della parola (altrui).
Autore di tesi di laurea su un cardinale della Chiesa Cattolica, ex gesuita, von Balthasar, e su un letterato anglicano, Lewis che hanno in comune una visione teo-drammatica dell’esistenza, sto ultimamente dilettandomi nella loro revisione e pubblicazione.

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