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Filosofia e Teologia del “mito cristiano” #2: Trasposizione dal basso e trasposizione dall’alto quoad nos

Prima di inoltrarsi direttamente nel cuore della questione, Lewis intende affrontare il problema da un punto di vista il più prossimo possibile all’esperienza di qualsiasi persona. L’esempio di rapporto superiore-inferiore che egli prende esemplificativamente in esame, riguarda la relazione che sussiste tra emozione e sensazione fisica. Tra di esse infatti sussiste una continuità analoga a quella vigente tra spirituale e corporale.

Lewis osserva che un momento di intensa emozione estetica se esaminato dal solo punto di vista interno, organico, sensoriale, venga erroneamente fatto coincidere con la percezione di una sensazione fisica, «la stessa sensazione che [spesso] accompagna una grande e improvvisa angoscia»[1].

Se adottassimo come criterio di giudizio per le diverse emozioni che accadono in noi la sola sensazione fisica, dovremmo concludere in modo paradossale che gioia e angoscia coincidono e che quindi ciò che desideriamo e ciò che rifuggiamo siano la stessa cosa[2]. La sola osservazione delle sensazioni non aiuta a scoprire nulla di più circa la nostra vita emotiva che invece è qualitativamente superiore «alla vita delle nostre sensazioni […], [è] più ricca, più varia, più raffinata»[3].

Non vi è però alcuna separazione netta tra vita emotiva e vita sensibile in quanto il nostro sistema nervoso risponde efficacemente alle emozioni, in una continuità attuata comunque attraverso un linguaggio più povero, meno variabile e dalle risorse molto più limitate rispetto alle numerosissime sfumature emozionali[4]. Per compensare a questa mancanza i sensi utilizzano sensazioni simili e a volte identiche per esprimere più emozioni e a volte per esprimere addirittura emozioni contrarie[5].

Pur sussistendo una certa continuità tra i due sistemi, non vige tra di essi un rapporto di corrispondenza uno a uno, ma il sistema più ricco viene rappresentato in quello più povero venendo come tradotto da un linguaggio più ricco ad uno più povero nel quale ad un termine corrisponde più di un significato[6].

Per conoscere però appieno ciò che accade nel mezzo di espressione inferiore, dobbiamo conoscere il mezzo di espressione superiore[7].

Il caso della trasposizione nel rapporto sensazioni-emozioni potrebbe essere paragonabile al rapporto di trasposizione che potrebbe sussistere tra una partitura musicale per orchestra e la stessa partitura trasposta come versione per solo pianoforte[8].

Il musicista che conoscesse la partitura originale del concerto per orchestra avrebbe una comprensione integrale del significato e comprenderebbe in modo adeguato la stessa trasposizione per pianoforte. L’uomo che invece avesse ascoltato la sola versione per pianoforte avrebbe una conoscenza del significato della partitura molto limitata[9]. Ponendo poi per assurdo che l’uomo che ascoltasse la versione per pianoforte non fosse a conoscenza dell’esistenza di altri strumenti all’infuori di quello, quell’uomo avrebbe una comprensione ancora più limitata: quel tipo di musica sarebbe per lui l’unica possibile.

Tornando al caso più efficace del rapporto emozione-sensazione Lewis ne afferma l’ulteriorità rispetto al mero simbolismo. L’emozione è come se scendesse nella sensazione integrandola in sé stessa, «digerendola, trasformandola, transustanziandola così che lo stesso brivido lungo i nervi è piacere o è agonia»[10]. Allo stesso modo avviene tra lo spirituale e il corporale, tra il soprannaturale e il naturale.

Tornando quindi alla questione sollevata in principio, cioè al problema centrale del rapporto che sussiste tra la nostra vita spirituale e la nostra vita corporale, Lewis afferma che il dubbio del critico-scettico sarebbe legittimo e coinciderebbe con ciò che dovremmo aspettarci se affrontassimo la trasposizione solo a partire dal basso[11]. Così affrontata infatti potremmo forse essere consapevoli dell’esistenza di alcune differenze tra lo spirituale (che non chiameremmo così) e il corporale, e cercare di circoscriverle, ma non potremmo mai arrivare a chiamarle spirituali. Il nostro punto di vista sarebbe limitato e necessiterebbe di essere trasceso.

«Tutto cambia quando si affronta la trasposizione dall’alto, come tutti facciamo nel caso delle emozioni e delle sensazioni, o del mondo e delle immagini tridimensionali, e così come fa l’uomo spirituale»[12].

Possiamo chiamare la nostra vita spirituale, spirituale, proprio per il fatto che l’abbiamo conosciuta e la conosciamo come tale, e non perché siamo partiti dalla semplice osservazione dalla nostra vita naturale o perché a partire da essa ci siamo elevati.

È proprio a causa del fatto che lo spirituale è già presente nel corporale che siamo già preventivamente consapevoli dell’esistenza delle differenze tra lo spirituale e il corporale. Lo spirituale ricomprende in sé il corporale.

[1] WG, p.96.

[2] Cfr. WG, p.97.

[3] WG, p.98.

[4] Cfr. WG, p.98.

[5] Cfr. WG, p.98.

[6] Cfr. WG, p.99.

[7] Cfr. WG, p.100.

[8] Cfr. WG, p.100.

[9] Cfr. WG, p.100.

[10] WG, p.102.

[11] WG, p.104.

[12] WG, p.104.

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Francesco Tosi: 1986 Rimini, avevo così voglia di vivere che sono nato prima di nascere (al quinto mese), poi ho continuato a nascere e rinascere nel corso della mia vita, in spirito, acqua e sangue.
Filosofo per forma mentis e formazione, letterato e Teo-filo per passione, editore digitale per professione, fanno di me un cultore del verbo e servitore della parola (altrui).
Autore di tesi di laurea su un cardinale della Chiesa Cattolica, ex gesuita, von Balthasar, e su un letterato anglicano, Lewis che hanno in comune una visione teo-drammatica dell’esistenza, sto ultimamente dilettandomi nella loro revisione e pubblicazione.

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