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La prossimità dell’evento cristiano

Quello che Lewis insisterà d’ora in poi a chiamare “Mito cristiano”[1] ha potuto affascinare e poi definitivamente conquistare la sua anima e il suo cuore perché se il mito pagano era il miracoloso approssimarsi commovente – ma in fondo vissuto solo immaginativamente – del divino all’umano, della libertà di dio alla libertà dell’uomo, la bellezza del Mito cristiano accaduto realmente quasi duemila anni prima è riaccaduto, si è fatto realmente prossimo.

Abbiamo visto che l’esposizione al mito letterario permette un cambiamento alla persona che vi si accosta in forza di una immedesimazione personale (anche se solo immaginativa) con il lavoro dell’autore dell’opera.

Vedremo invece in questo paragrafo che il mito cristiano in un modo infinitamente maggiore giunge a modificare l’ontologia della persona che vi si accosta (Dio in Cristo ci assume in Sé) in quanto la presenza di Cristo è effettivamente reale e continuativamente presente nella storia coinvolgendo realmente e integralmente la persona che vi si imbatte.

Se l’esposizione al mito letterario è l’esposizione al racconto di un’altra persona, è l’incontro con la mente di un altra persona, con l’immaginazione di un’altra persona, il mito cristiano è l’incontro con una persona Altra, con una Persona infinita, con il Dio risorto.

L’esperienza della Gioia per come era vissuta da Lewis prima della conversione era infatti arrivata a contenere in sé oltre alla dolcezza e allo stupore anche dell’amarezza che lo condusse poi all’abbandono di ciò che più amava e al rifiuto della Gioia stessa.

Alla stessa stregua della mitologia essa era vissuta fondamentalmente come una bugia di poeti, una menzogna: «Per qualche minuto abbiamo avuto l’illusione di appartenere a quel mondo. Ora ci risvegliamo per scoprire che non è affatto così. Siamo stati semplici spettatori. La bellezza ha sorriso, ma non per accoglierci; il suo viso era rivolto nella nostra direzione, ma non per vederci […]. Parte dell’amarezza che si mescola con la dolcezza di quel messaggio è dovuta al fatto che sembra molto raramente un messaggio rivolto a noi ma piuttosto qualcosa che abbiamo udito per caso»[2].

Ora invece «il desiderio di essere riconosciuti»[3], il desiderio che il sorriso della Bellezza sia rivolto nella sua direzione per accoglierlo – esso stesso parte dell’inconsolabile desiderio che è la Gioia – trova la sua risposta: «San Paolo promette a coloro che amano Dio […] che Lui li conoscerà»[4].

L’uomo infatti non si accontenta semplicemente di contemplare e di adorare la bellezza – essa stessa, come afferma Lewis, grandissima ricompensa – ma desidera ardentemente qualcosa di indescrivibile che si potrebbe tentare di raffigurare con il dantesco «s’io m’intuassi, come tu t’immii»[5] e definire come intima unità, come comunione[6].

Una maggiore appropriazione della comprensione di questa realtà è rintracciabile all’interno di un saggio inizialmente letto alla Society of St.Alban and St.Sergius ad Oxford il 10 febbraio 1945 e successivamente pubblicato presso la rivista Sobornost[7] nel giugno 1945 e infine raccolto in The Weight of Glory nel 1949.

In questo saggio Lewis spiega il significato della parola inglese membership termine che nella contemporaneità è stato derubato del sua origine cristiana andando ad assumere un significato che dire riduttivo sarebbe eufemistico[8].

Con la parola greca membri san Paolo intendeva organi, ossia parti che, seppur diverse per forma, funzione e dignità, sono complementari gli uni agli altri. Allo stesso modo sono i cristiani che sono membri dello stesso corpo, la Chiesa, e aventi lo stesso capo, Cristo[9].

Che cosa intende san Paolo quando afferma che siamo membri, organi di uno stesso corpo?

Lewis spiega questa appartenenza attraverso un’analogia con la famiglia naturale: «la società di cui un cristiano entra a far parte con il battesimo […] è proprio quel Corpo di cui la famiglia è un’immagine a livello naturale»[10]. Ogni membro della famiglia è come una specie a sé stante: «la madre non è semplicemente una persona diversa dalla figlia; è un diverso genere di persona»[11].

Proprio per questa ragione se venisse a mancare un membro della famiglia non sarebbe semplicemente ridotto il numero dei famigliari, ma sarebbe stata indebolita la struttura stessa della famiglia[12].

Al tempo stesso però il padre di questa famiglia o il capo di questo corpo è talmente differente che la somiglianza con lui è solamente analogica e sovrastata dalla dissomigilanza sempre eccedente[13].

Il Capo di questo corpo è il fondamento della universale famiglia cristiana (la Chiesa). Cristo è il fondamento della comunione tra i suoi membri, la cui comunanza è vissuta per la Sua presenza, con la Sua presenza e nella Sua presenza, fattore dominante la vita di ciascun membro[14].

Al di fuori «dell’interazione tra Lui e noi»[15] l’uomo è considerabile alla stregua di un detenuto: privo di nome, schiavo, facente parte di una collettività fatta di numeri[16].

In rapporto a Cristo infatti ogni singolo uomo diventa persona irripetibile, eterna e inviolabile poiché nell’adozione filiale in Cristo le viene conferito «lo status di organo del Corpo mistico»[17] diventando una «“colonna nel tempio del mio Dio”» [18] da cui «“non […] uscirà mai più”»[19] andando a occupare nella Chiesa una «posizione strutturale […], eterna e addirittura cosmica»[20]. La nostra persona andrà ad occupare nella struttura dell’universo il posto «per cui siamo stati […] creati»[21].

Tuttavia Lewis sottolinea come non sia la personalità eterna e inviolabile il dato di partenza del cristianesimo, ma Cristo stesso. Infatti lo status di persona irripetibile viene “ricevuto” dall’unione con Cristo[22]: «Parteciperemo alla vittoria facendo parte del Vincitore»[23] diventando una creatura nuova[24].

Nell’incontro con la realtà della Chiesa di Cristo, anche se nella confessione anglicana, e la progressiva frequentazione dei sacramenti, luogo della presenza reale del Signore[25], si corroborò in Lewis la certezza di avere incontrato la verità della via alla vita a cui era stato chiamato attraverso la Gioia. Innanzitutto per il fatto che il desiderio letto attraverso la lente della Gioia osservata alla luce della Rivelazione (Incarnazione, morte, resurrezione e presenza di Cristo nella Sua Chiesa) venisse dischiuso ogni volta e in modo sempre maggiore. Quella magna quaestio racchiusa nel suo desiderio era a lui stesso inconoscibile: non solo perché Lewis non avesse la facoltà di trovare risposta ad essa da sé stesso. Come abbiamo visto nel sesto paragrafo infatti, ogni volta l’esperienza della Gioia mostrava a Lewis – attraverso una via negationis – che le identificazioni del desiderio da lui tentate finivano sistematicamente nel nulla.

La magna quaestio del desiderio era ed è irrisolvibile soprattutto perché non è l’uomo in sé stesso la risposta a sé stesso. Lewis infatti non sapeva nemmeno che cosa fosse adeguato domandare finché non giunse alla presenza di Colui che rivelandogli sé stesso, gli dischiuse la sua stessa umanità.

Era il Dio rivelato in Gesù Cristo il Dio verso cui l’indice della Gioia aveva indicato per tutto il tempo.

La falsità storica degli antichi miti recava in sé una verità simile a quella propria della profezia: «A volte mi capita quasi di pensare di essere stato spinto verso quei falsi dèi per acquisire la capacità di adorare il giorno in cui il vero Dio mi avrebbe richiamato a Sé»[26].

Era dunque questo il Dio in cui la religione aveva raggiunto la sua vera maturità spezzando gli stessi confini del religioso fino a quel momento concepito, dove si era realizzata l’attesa del paganesimo di un vero Dio che muore veramente, che veramente si sacrifica e che veramente risorge da morte per arrecare vero bene agli uomini che Egli ama[27].

Scriverà Lewis in una delle opere di lui più conosciute, The Screwtape Letters, che l’uomo quando sarà di fronte a Dio non gli domanderà «“Chi sei tu?”, ma [colmo di stupore affermerà] “Eri tu dunque per tutto il tempo”»[28].

Era dunque questo Dio la reale sostanza della Gioia tanto bramata, tanto cercata, tanto desiderata. «Quella musica che si percepiva al centro di ogni esperienza pura, e che sempre, all’ultimo momento era sfuggita dalla memoria, si ritrovava ora finalmente»[29]: «“Ecco finalmente quella cosa per cui sono stato creato”»[30].

Per tutto il tempo e alla stessa stregua di un cartello luminoso la Gioia non aveva indicato altro che il termine ultimo del suo bramare, del suo domandare.

«Quello che mi piace dell’esperienza è che si tratta di una cosa così onesta. Potete fare un mucchio di svolte sbagliate; ma tenete gli occhi aperti e non vi sarà permesso di spingervi troppo lontano prima che appaia il cartello giusto. Potete aver ingannato voi stessi, ma l’esperienza non sta cercando di ingannarvi. L’universo risponde il vero quando lo interrogate onestamente»[31].

[1] Lewis sottolinea con la emme maiuscola la ricchezza di significato dell’evento di Cristo che a differenza dei racconti mitico-leggendari è autenticamente veridico e pienamente reale.

[2] WG, pp.39-40.

[3] WG, p.40.

[4] WG, p.41.

[5] Dante Alighieri, Divina Commedia, Paradiso IX,80-81.

[6] Cfr. WG, p.42.

[7] Il termine russo sobornost è traducibile con l’italiano comunione.

[8] Membership nell’inglese moderno significa appartenenza ad una associazione, membro di una associazione. Nell’inglese medio membre significava organo o membro della famiglia.

[9] Cfr. WG, p.164.

[10] WG, p.166.

[11] WG, p.164.

[12] Cfr. WG, p.164.

[13] Cfr. WG, p.166.

[14] Cfr. WG, p.166.

[15] WG, p.166.

[16] Cfr. WG, p.164.

[17] WG, p.171.

[18] WG, p.171.

[19] WG, p.171.

[20] WG, p.171.

[21] WG, p.171.

[22] Cfr. WG, p.173.

[23] WG, p.172.

[24] WG, p.172.

[25] Cfr. CLIII, p.1353.

[26] SBJ, p.77.

[27] Cfr. SBJ, p.235.

[28] SL, p.173.

[29] SL, p.173.

[30] PoP, p.151. «Lewis dunque si è convertito perché l’incontro con Cristo non consiste anzitutto in un codice di comportamento diverso, o in un sistema astratto di pensiero, ma nella spregiudicata, impensata valorizzazione di quanto aveva già afferrato la sua vita come bello e commovente. Ciò che prima era bello, ma triste, perché ultimamente non vero, si rivelò d’un tratto bello perché vero oltre ogni possibile aspettativa» (Rialti 2012, p.32)

[31] SBJ, p.177.

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Francesco Tosi: 1986 Rimini, avevo così voglia di vivere che sono nato prima di nascere (al quinto mese), poi ho continuato a nascere e rinascere nel corso della mia vita, in spirito, acqua e sangue.
Filosofo per forma mentis e formazione, letterato e Teo-filo per passione, editore digitale per professione, fanno di me un cultore del verbo e servitore della parola (altrui).
Autore di tesi di laurea su un cardinale della Chiesa Cattolica, ex gesuita, von Balthasar, e su un letterato anglicano, Lewis che hanno in comune una visione teo-drammatica dell’esistenza, sto ultimamente dilettandomi nella loro revisione e pubblicazione.

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