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L’abolizione dell’uomo (AoM) #4
All’interno del tao: integrazione e fondazione della natura umana in Dio

Il percorso dei novatori da Lewis tracciato in The Abolition of Man si sviluppa in modo cristallino sotto il segno della spersonalizzazione e prima ancora della disintegrazione della persona umana nel tentativo di scollegare la razionalità dall’affettività isolando la componente affettiva come conoscitivamente irrilevante e dannosa. Il percorso fin qui delineato mostra infatti a quali conseguenze l’esistenza personale dell’uomo sia sottoposta successivamente alla rinuncia di una parte consistente della propria umanità.

L’indisponibilità all’uomo nei confronti della sua stessa natura si manifesta inizialmente nell’impossibilità di una creazione dal nulla di nuovi valori non appena abbia messo tra parentesi la sua propria natura, nel tentativo successivo di manipolazione di quest’ultima e infine nella inconsapevole rassegnazione alla parte non-razionale di essa.

Il tentativo di ottenebrare fino alla negazione la natura umana limitata e dipendente, e quello parallelo di possedere e di circondare la vita dell’uomo fallisce e dimostra l’inaffondabilità e l’anteriorità di una signoria sulla natura che non gli appartiene[1].

Se infatti osserviamo attentamente il percorso tracciato in The Abolition of Man non è difficile notare come il processo di isolamento del razionale dal corporale (contestualmente al rifiuto delle realtà a quest’ultimo legate: l’universo affettivo-emozionale e i valori legati al coinvolgimento emozionale) conduca a una prospettiva che necessariamente afferma la dominazione dell’unicamente corporale sullo spirituale che ne risulta così schiacciato – seppur tenti di configurarsi come uno sforzo nella direzione opposta.

Il tentativo di elevare il puramente razionale all’identità con la soggettività e la personalità umane si è liquefatto come le ali di Icaro ed è ricaduto di schianto nell’affermazione del suo esatto contrario. L’impossibile affermazione del puramente razionale e di progressiva negazione del corporeo mostra che l’ipotesi disintegrativa della persona umana conduce al fallimento.

Il fronte di rinuncia e di negazione dell’Innovatore è in realtà duplice: ridimensionando fino alla nullificazione il valore conoscitivo delle emozioni, rifiutando contestualmente la stessa componente affettiva (sentimenti ed emozioni) come parte della natura umana, e sradicandosi dalla dottrina del valore oggettivo (dal tao), abbiamo assistito a un rifiuto sia dal punto di vista metafisico dell’esistenza di un orizzonte trascendente, sia dal punto di vista antropologico dell’integralità della persona umana e alle conseguenze nefaste di queste rinunce.

Integrazione spirituale-corporale: vita sensitiva–vita emozionale

Al contrario dei novatori Lewis non considera l’universo emotivo semplicemente come irrazionale, nel senso di contrario alla ragione e perciò di inintelligibile. Il nostro autore osserva che l’irrazionalità delle emozioni umane è da considerarsi, al contrario, come una intelligibilità pre-razionale. Il sentimento non è contrario alla ragione, ma gode della non-razionalità (non è un evento della ragione) analoga a quella di un qualsiasi evento puramente fisico[2]. L’evento fisico preso in considerazione nel nostro caso specifico  si differenza da quelli osservati normalmente fuori di noi (come per esempio un temporale) poiché è un evento che accade all’interno di noi stessi. In secondo luogo l’accadere in noi provoca un contraccolpo che si manifesta attraverso sensazioni che variano a seconda dell’emozione. Accade nell’uomo a livello delle sensazioni un evento fisico. Il particolare evento fisico dell’emozione è al tempo stesso già permeato dall’elemento spirituale.

È un evento emergente nella nostra persona come qualcosa di pre-razionale e che, una volta sorto, richiede una nostra presa di posizione, il nostro assenso o dissenso[3].

Le emozioni possono essere conformi o difformi rispetto alla ragione alla quale devono obbedire: «il cuore non potrà mai prendere il posto della testa: ma può, e dovrebbe, obbedirle»[4].

Abbiamo già avuto modo di vedere nel primo capitolo che  Lewis rimarca e sottolinea con forza la differenza tra le emozioni e le sensazioni all’interno del suo saggio Transposition.

Prima di procedere brevemente in un’analisi più approfondita di queste due differenti realtà, Lewis ci introduce immediatamente alla loro relazione reciproca attraverso un aneddoto tratto da The Diary of Samuel Pepys: «“Con mia moglie al King’s House per vedere La Vergine martire; ed un vero piacere… Ma ciò che mi è piaciuto più di ogni altra cosa al mondo è stata la musica degli strumenti a fiato quando l’angelo scende dal cielo, così dolce che mi ha estasiato e anzi, in una parola, mi ha avvolto l’anima fino a darmi un forte senso di nausea, come mia accadeva in passato quando ero innamorato di mia moglie… e mi ha fatto decidere di praticare uno strumento a fiato e di convincere mia moglie a fare lo stesso”»[5].

Innanzitutto Lewis fa notare come la stessa sensazione di nausea provata da Pepys accomuni due esperienze completamente diverse tra loro, la comune nausea durante una ipotetica traversata di un fiume agitato e, per quanto riguarda Pepys, l’innamoramento. Nel primo caso si tratta di un’esperienza a dir poco spiacevole, nel secondo caso invece abbiamo a che fare con un esperienza di «vero piacere […], così dolce che […] ha avvolto l’anima fino a dare […] un forte senso di nausea»[6].

Lewis sottolinea l’apparente paradossalità dell’atteggiamento di Pepys nel desiderare ansiosamente di provare nuovamente quel «forte senso di nausea»[7] per cui si decide di iniziare a imparare a suonare uno strumento a fiato.

Abbiamo qui a che fare con una sensazione identica riferita a due esperienze totalmente diversificate. «Abbiamo tutti provato quel genere di sensazione»[8]. Dove sta dunque la differenza?

Non è nell’introspezione che dobbiamo cercare la via da percorrere nella risposta alla nostra domanda[9]. Se l’orizzonte del nostro domandare fosse concentrato unicamente sull’osservazione della sensazione in sé stessa, otterremmo come risposta sempre e solamente una sensazione che nel caso di Pepys coincideva con la nausea e nel caso di Lewis con un «calcio o fremito nel diaframma»[10]. La stessa sensazione provata da Lewis inoltre poteva accompagnare anche «un momento di grande e improvvisa angoscia»[11]. Riprendendo il caso specifico di Pepys, Lewis spiega infatti che l’introspezione, concentrata unicamente sull’osservazione dell’emergere delle sensazioni e slegata dalla realtà a cui esse sono riferite, a nulla gioverebbe nella comprensione circa la differenza o diversità di risposta emozionale o sensitiva alla realtà di riferimento. La via d’indagine della sola introspezione condurrebbe inevitabilmente all’unica e assurda conclusione che l’esposizione alla realtà della gioia e alla realtà dell’angoscia siano la stessa identica cosa.

A rivelare l’assurdità della conclusione è l’esperienza reale che contemporaneamente e conseguentemente nei due singoli casi si darebbe: in un caso desiderio, nell’altro repulsione.

L’etimologia della parola emozione indica un motus, un movimento. Emotio, emovere: e (ex) = da, indica la provenienza; movere = muoversi; muoversi dall’interno.

Sensationem invece indica una percezione, una percezione fisiologica causata da stimoli interni o esterni recepiti attraverso la ricettività degli organi di senso.

La caratteristica di moto dall’interno non sarebbe sufficiente a diversificare l’emozione dalla sensazione, l’immateriale dal materiale, lo spirituale dal corporeo.

Anche all’interno della sensibilità infatti si ha un moto, un cambiamento che proviene dall’interno. Quantitativamente parlando entrambe sono un movimento.

In che cosa si differenziano dal punto di vista qualitativo?

Nel caso della sensazione il movimento della percettibilità somatica non va oltre il corporeo, mentre il movimento emozionale, sebbene dipenda e sia condizionato in certa misura dal corpo, si differenzia da esso grazie a una ricchezza, varietà di sfumature e raffinatezza ogni volta uniche e in certa misura trascendenti il corporeo.

L’emozione a differenza della sensazione è un fatto connotato spiritualmente e qualitativamente distinto dalla sola sensazione fisica.

La distinzione tra la sensazione e l’emozione si pone dal punto di vista della partecipazione della integralità della persona[12].

Se consideriamo una sensazione come la nausea (le cui cause possono essere anche esclusivamente fisiche) oppure la reattività legata alle sensazioni (nausea e conati) notiamo che la sensazione è qualcosa di semplicemente subìto, nei confronti della quale solo il corporeo è direttamente coinvolto. La persona nel caso della nausea seguita da vomito verte in uno stato di impotenza nei confronti del suo corpo. La reazione è non-razionale[13]: non c’è alcuna partecipazione attiva della coscienza al manifestarsi della reazione.

Nell’emozione, nella sfera spirituale e psichica, l’emozione integra il corporeo, lo trascende e tende spiritualmente verso il razionale. C’è una partecipazione della persona umana nell’emozione: quest’ultima non è semplicemente subìta ma accolta o respinta, accettata o rifiutata, cioè condizionata.

Il petto o cuore è il nome che Lewis insieme a Tommaso d’Aquino[14] da all’organo spirituale atto a recepire il valore[15]. Esso include una dimensione affettiva e una dimensione cognitiva: consapevolezza del valore e dell’obbligazione morale, e senso di obbligazione nei suoi confronti[16]. È l’organo attraverso cui percepiamo e siamo mossi dalla moralità: è la coscienza (includendo anche il termine tomistico di sinderesi). Tommaso identifica la sinderesi come un tipo di conoscenza naturale e abituale, sia speculativa che pratica, con la quale si vede in modo semplice (non composto) e assoluto la verità stessa delle cose.  Compito della sinderesi è indirizzare al bene e distogliere dal male. In sé stessa, in quanto capacità, è infallibile e inestinguibile. Sinderesi indica un habitus naturale simile all’habitus delle verità conosciute in modo evidente (dette princìpi, assiomi, postulati, verità di base indimostrabili e che non necessitano di dimostrazione data la loro natura intuitiva) e indica la stessa potenza della ragione con tale abito.

La coscienza è l’applicazione al caso particolare del giudizio universale della sinderesi: è un atto e non una potenza o un abito. Essa può riguardare l’esistenza o meno di una certa azione particolare oppure la sua conformità o non conformità alla legge morale dirigendo l’attività umana oppure giudicando il comportamento passato. L’errore nella coscienza si può verificare in due modi: o perché si fa uso di premesse false, o perché non si ragiona correttamente. La falsità delle premesse non si verifica però mai nella premessa universale (data dalla sinderesi), ma solo nella premessa particolare (data dalla ragione). L’errore è escluso quando la premessa particolare è immediatamente connessa con i principi universali.

Se tra due realtà analoghe devo quindi capire quale sia un surrogato e quale no, non è sufficiente osservare, attraverso l’introspezione, all’interno del cuore/petto «per decidere che cosa sia un surrogato e che cosa no»[17].

Le nostre emozioni non sono sufficienti in quanto le sensazioni avvertite potremmo infatti trovarle associate sia al surrogato che alla realtà che stiamo realmente cercando[18]. In entrambi i casi le sensazioni sarebbero identicamente espressione dei medesimi bisogni fondamentali, ma rispondendo però in maniera completamente differente[19]. Non possiamo dunque cercare nelle sensazioni o nelle emozioni il nostro criterio guida. Se le sensazioni o le emozioni abbandonate a sé stesse si sono dimostrate testimoni inattendibili, allora «il nostro criterio per stabilire se un desiderio è reale o è un surrogato va ricercato altrove»[20].

«Il valore dato alla testimonianza dei nostri sentimenti deve dipendere da una visione globale del mondo, e non […] la nostra visione del mondo [deve dipendere] dai sentimenti»[21].

I criteri per guidarci nel giudizio da dare ai nostri sentimenti Lewis li ravvisa nella ragione, nell’esperienza e nell’autorità. «Autorità, ragione, esperienza: tutta la nostra conoscenza dipende da questi tre elementi, che si fondono in vario modo»[22].

Allo stesso tempo e nello stesso testo il nostro autore rivela l’essenziale “funzione” dei sentimenti come via per una partecipazione integrale alla verità nel riconoscimento di qualità reali che “richiedono” e “attendono” risposta dalla persona da esse “interrogate”[23].

L’emotivo-spirituale si radica nel sensitivo-corporale grazie al dominio dello spirituale sul corporale. In questo modo Lewis evita, a nostro avviso, due errori: sia una esaltazione dello spirituale attraverso una “spiritualizzazione pura” (prospettiva in cui l’uomo sarebbe un’anima che adopera un corpo), sia una negazione dello spirituale attraverso una sorta di “sensitivizzazione pura”.

Lewis insiste successivamente nel sottolineare questa integrazione affermando che una stessa sensazione «non si limita ad accompagnare, né semplicemente a esprimere, emozioni diverse e contrastanti, ma diventa parte di esse»[24]. Avviene una trasformazione della sensazione da parte dell’emozione, una “digestione” della prima da parte della seconda. Abbiamo già visto come Lewis addirittura si spinga fino all’utilizzo analogico del teologumeno della transustanziazione: «L’emozione scende fisicamente […] nella sensazione […] transustanziandola»[25]. Conseguenza di tale “transustanziazione” è che «lo stesso brivido lungo i nervi è piacere o è agonia»[26]; antecedente della transustanziazione è l’integrazione di spirituale e di corporale nella persona.

Nel provare profonda angoscia o piacere estatico, vergogna o infatuazione, il fremito (o dolore) al diaframma e l’avvampamento e rossore del viso indicano nelle alternative fornite due emozioni completamente diverse.

Conseguenza di questa trasposizione è un’integrazione di spirituale e corporale, o, più specificamente di psichico e somatico nella duplice tensione discendente-ascendente di corporeizzazione dello spirituale e spiritualizzazione del corporale. «Quando la gioia fluisce così nei nervi, questo fluire è la sua consumazione; quando l’angoscia fluisce così nei nervi, quel sintomo fisico è l’orrore supremo. La stessa identica cosa che costituisce la goccia più dolce del più dolce dei calici, costituisce anche la goccia più amara del più amaro dei calici»[27].

L’errore compiuto dei novatori è consistito dunque nel giudicare le emozioni dal punto di vista unicamente somatico (a partire unicamente dal basso) e nel far coincidere il loro ideale di uomo con un impossibile uomo puramente spirituale.

Naturale e soprannaturale nella persona umana

In Miracles: a preliminary study, opera pubblicata nel 1947 e dedicata a un preliminare studio filosofico sulla possibilità e sulla realtà e dei miracoli, Lewis dedica i primi sei capitoli alla polemica anti-naturalista e al confronto tra la posizione naturalista e quella soprannaturalista.

Per naturalismo Lewis intende qualsiasi forma di immanentismo (sia esso materialista o psicologista o panteista) che consideri il naturale l’unica cosa esistente[28], l’origine e il termine di ogni cosa, il «Fatto Ultimo» che vive si configura però come «Evento Totale»[29].

Con soprannaturalismo egli intende invece indicare quella concezione per cui l’origine e il termine ultimo della realtà, il Fatto Primo, l’«Unica Cosa che è basilare e originale»[30] si differenzia dall’Evento Totale perché possiede solo essa la prerogativa di essere l’unica cosa esistente di per sé. L’Evento Totale del naturalismo invece contiene in sé tutte le cose e tutti i fatti. L’accadere delle cose, la loro interconnessione è legata indissolubilmente all’accadere dell’Evento Totale. La causa prima, «Fatto Primo»[31], «Unica Cosa che è basilare e originale»[32], che «è ciò che noi chiamiamo Dio»[33], si differenzia dal fluire e dall’accadere delle cose e degli eventi. Non è tutt’uno con essi. La natura e le cose traggono da essa la loro origine.

Non ci soffermeremo sulla polemica anti-naturalista e sulle varie argomentazioni riguardanti l’impossibilità dell’immanentismo e la necessaria esistenza del soprannaturale[34].

Prenderemo in considerazione solo tangenzialmente la versione generale del Argument from Reason nella sua parte propositiva, per entrare poi nello specifico rapporto naturale-soprannaturale che si da tra l’uomo e Dio.

Lewis descrive la ragione come la «punta di lancia del Soprannaturale»[35] che insieme alla componente naturale e ai suoi contenuti contribuisce al sorgere dell’io.

La ragione è quella parte della persona che integra e rafforza l’intero sistema psico-fisico della persona. Lewis definisce la ragione – insieme ad Agostino – come «un raggio  di luce che illumina»[36] o anche come un criterio di misura, di unificazione e di sviluppo della realtà.

Boezio, ricorda Lewis, distingue l’intelligentia dalla ratio[37]. Della prima dispongono in perfezione gli angeli e l’intelletto umano è ciò che più si avvicina all’intelligenza angelica. Quella umana è infatti un’intelligenza adombrata, appannata.

Tommaso d’Aquino descrive così la relazione dell’intelligenza con la ragione: l’intelletto (intelligere) è il coglimento semplice (indivisibile) di una verità intelligibile, mentre il ragionamento (ratiocinari) è la progressione verso una verità intelligibile che procede andando da un punto afferrato con l’intelletto a un altro[38]. La differenza tra loro è simile a quella che si ha tra il movimento e il riposo o tra il possesso e l’acquisizione[39]. Noi disponiamo dell’intelletto quando “vediamo” una verità auto-evidente; esercitiamo la ragione quando procediamo passo dopo passo nel provare una verità che non è auto-evidente[40].

La ragione è sempre ancorata e riferita al concreto e nell’uomo integrata con la sua natura corporea. Al tempo stesso però gli atti del ragionare non sono intrecciati così strettamente da identificarsi con il sistema biologico a esso integrato. Sono connessi con esso in una maniera differente. Il rapporto che si da tra essi è asimmetrico: il tragitto che va dallo spirituale al corporale non è lo stesso che va dal corporale allo spirituale.

Quando ragioniamo opera qualcosa che sta oltre al corporale[41]. L’uomo è fornito di questa capacità illuminativa e misurante che gli permette nell’autocoscienza l’avventura della conoscenza della realtà.

Al tempo stesso Lewis è ben consapevole del fatto che la nostra ragione è condizionata nel suo esercizio dal livello organico della sua natura[42]: la capacità ragionativa cosciente comincia a crescere e a svilupparsi non immediatamente alla nascita, è interrotta nel sonno, è obnubilata da ubriacatura o traumi, oppure deperisce con il deperimento delle funzioni celebrali e infine svanisce se il cervello smette di funzionare[43]. La ragione è una facoltà soprannaturale che si da nella limitata natura umana.

L’integrazione di spirituale e fisico è espressa anche a livello del linguaggio come base delle conformazioni spirituali dell’essere umano. La ragione umana a differenza degli animali, che hanno a disposizione esclusivamente atti naturali senza alcuna presa conoscitiva sulle cose, fa utilizzo dei segni in cui il fattore qualitativamente ulteriore è il significato o concetto o parola . Il greco logos reca in sé tutti e  tre questi elementi: significato oggettivo o essenza, l’idea che indica questo significato o essenza, e la parola che esprime questo significato e questa essenza[44].

Se questa capacità di illuminare e misurare la realtà conosciuta è dunque circostanziata, condizionata e limitata, da dove l’uomo trae questa sua capacità? Lewis afferma che essa deve derivare necessariamente da un’altra ragione[45]. Dovremmo infatti «gridare “Alt”»[46] nel momento in cui ci venisse chiesto di credere l’opposto, ovvero che la nostra capacità di conoscere la realtà e noi stessi possa derivare dalla «non-ragione»[47]. Per non-ragione Lewis intende riferirsi nuovamente a una ragione immanentisticamente (materialisticamente, fisicalisticamente o psicologisticamente) intesa. Non è il limite e la conseguente necessità di fondatezza a essere irrazionali, ma l’ammettere che a fondare la ragione possano essere elementi che in sé stessi e da sé stessi sono non-razionali[48]. Lewis afferma infatti che elaborare asserzioni di questo tipo significa non aver compreso che il ragionamento non è qualcosa che accade nell’uomo come risposta a una reazione, ma è un’azione da lui compiuta[49].

Per il principio esposto nel primo capitolo (e più volte ripreso) della trasposizione non è possibile una risalita analogica dal corporale allo spirituale senza che lo spirituale non sia già disceso nel corporale, così non è possibile l’emergere del razionale dal non-razionale senza che esso sia già precedentemente presente[50]. Ammettere che all’origine del razionale ci fosse il non-razionale equivarrebbe a identificare il razionale con il non-razionale e squalificare ogni validità del nostro ragionamento[51].

Deve dunque esistere almeno una ragione esistente di per sé, in modo assoluto e da tutta l’eternità per fondare adeguatamente la razionalità umana.

Per questo motivo non può certo il mio io pretendere di essere questa Ragione «indipendente ed esistente di per sé dall’eternità […] fonte della […] razionalità imperfetta e intermittente»[52] dell’uomo.

L’io di ciascun uomo deriva da e affonda le sue radici in una sopranatura, «in un Essere razionale eterno, esistente di per sé, che noi chiamiamo Dio»[53].

Lewis indica come paradossale la possibilità del darsi di una Ragione emergente, di un Dio emergente dalla realtà finita al modo di una coscienza cosmica, universale e capace di pensare. Questa stessa emergenza presupporrebbe l’esistenza del «Fatto primo, originale, originatosi da sé e che esiste di per sé»[54], cioè di un Dio trascendente e soprannaturale.


[1] Serretti 2008, p.68.

[2] AoM, p.20.

[3] M, p.43. AoM, p.25.

[4] AoM, p.25

[5]  WG, p.95.

[6]  WG, p.96.

[7]  WG, p.96.

[8]  WG, p.96.

[9] Cfr.  WG, p.96.

[10]  WG, p.97.

[11]  WG, p.97.

[12] Cfr. Kreeft 1994, p.101.

[13] Cfr. M,p.29.

[14] De Veritate, q. 16-17.

[15] Cfr. Kreeft 1994, p.101.

[16] Cfr. Kreeft 1994, p.113.

[17] CSLEC, “Religion: Reality or Substituite?”, Kindle Edition, pos. 2537-2544.

[18] Cfr. CSLEC, “Religion: Reality or Substituite?”, Kindle Edition, pos. 2537-2544.

[19] Cfr. CSLEC, “Religion: Reality or Substituite?”,  Kindle Edition, pos. 2537-2544.

[20] CSLEC, “Religion: Reality or Substituite?”, Kindle Edition, pos. 2537-2544.

[21] CSLEC, “Religion: Reality or Substituite?”, Kindle Edition, pos. 2550-2556

[22] CSLEC, “Religion: Reality or Substituite?”,  Kindle Edition, pos. 2544.

[23] Cfr. AoM, p.15.

[24]  WG, p.102.

[25]  WG, p.103.

[26]  WG, p.103.

[27] WG, p.98.

[28] Cfr. M, p.8.

[29] M, p.8.

[30] M, p.10.

[31] M, p.10.

[32] M, p.10.

[33] M, p.10.

[34] Il professor Victor Reppert nel suo C.S. Lewis’s dangerous idea mostra la molteplicità delle formulazioni dell’argomentazione a partire da quella di ragione (Argument from Reason).

La formulazione generale dell’argomento è divisa in cinque punti:

«1. Nessuna opinione è razionalmente fondata se può essere pienamente giustificata in termini di cause non razionali.

  1. Se il materialismo è vero, allora tutte le opinioni possono essere pienamente giustificate in termini di cause non razionali.
  2. Perciò, se il materialismo è vero, allora nessuna opinione è razionalmente fondata.
  3. Se qualsiasi proposizione implicasse la conclusione che nessuna opinione è razionalmente fondata, allora sarebbe necessario rigettarla e accettare la sua negazione.
  4. Di conseguenza il materialismo dovrebbe essere rigettato e accettata invece la sua negazione». (Reppert 2003, p.57).

I naturalisti devono quindi giungere alla conclusione o di accettare la fondazione razionale delle proprie asserzioni e rigettare conseguentemente il proprio credo naturalista, o negare la fondazione razionale delle proprie asserzioni e rigettare anche in questo caso il proprio credo naturalista in quanto ogni opinione e pensiero sarebbero privi di giustificazione razionale.

[35] M, p.48.

[36] M, p.48.

[37] DI, p.129.

[38] DI, p.129.

[39] Cfr. Summa Iª q. 79 a. 8 co.: «Ragionare invece significa procedere da una conoscenza a un’altra, nel conoscere la verità. Quindi gli angeli, i quali posseggono perfettamente, nel modo confacente alla loro natura, la conoscenza della verità, non hanno necessità di procedere da un conoscibile all’altro, ma apprendono la verità delle cose in modo semplice e senza processo discorsivo, come dice Dionigi. Gli uomini invece arrivano alla conoscenza della verità, procedendo da una cosa a un’altra, come scrive ancora Dionigi: e per questo sono denominati ragionevoli. E dunque evidente che il ragionamento sta all’intellezione, come il moto sta al riposo [già conseguito], o come l’acquisizione sta al possesso: l’una cosa appartiene all’essere perfetto, l’altra a quello imperfetto».

[40] DI, p.129.

[41] Cfr. M, pp.37-38.

[42] Hooper 2005, p.603.

[43] Cfr. M, p.61.

[44] Cfr. Kreeft 1994, p.155.

[45] Cfr. M, p.168.

[46] M, p.42.

[47] M, p.42.

[48] Cfr. M, p.39.

[49] Cfr. M, p.43.

[50] Cfr. M, p.46.

[51] Cfr. M, p.46.

[52] Cfr. M, p.42.

[53] M, p.42.

[54] M, p.43.

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Francesco Tosi: 1986 Rimini, avevo così voglia di vivere che sono nato prima di nascere (al quinto mese), poi ho continuato a nascere e rinascere nel corso della mia vita, in spirito, acqua e sangue.
Filosofo per forma mentis e formazione, letterato e Teo-filo per passione, editore digitale per professione, fanno di me un cultore del verbo e servitore della parola (altrui).
Autore di tesi di laurea su un cardinale della Chiesa Cattolica, ex gesuita, von Balthasar, e su un letterato anglicano, Lewis che hanno in comune una visione teo-drammatica dell’esistenza, sto ultimamente dilettandomi nella loro revisione e pubblicazione.

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